Trama del film Oasis: Supersonic

Oasis: Supersonic - fotogramma

La storia mai raccontata della band che ha cambiato il suono di una generazione. Nell'agosto del 1996, gli Oasis, una band indie proveniente dalle case popolari di Manchester, furono protagonisti di qualcosa mai visto prima. I loro concerti a Knebworth con un pubblico di 250.000 persone - e altri 2 milioni e mezzo di persone alla ricerca di biglietti - furono gli eventi più seguiti di quel periodo. Per tutti coloro che sono cresciuti negli anni novanta, c'era una sola band che contava. Al culmine del loro successo, infatti, gli Oasis non avevano concorrenti. Questo film parla di loro, di quella band che ha cambiato il suono di una generazione, scrivendo a tutti gli effetti una pagina memorabile di storia della musica.

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Tra il '94 e il '95 i Gallagher goderono d'una prodigiosa fecondità artistica: Noel componev'alla chitarra le sue migliori canzoni quand'erano già in studio e durante le pause del resto della band, mentre Liam imparava dal fratello le melodie al prim'ascolto ed era già pronto ad andar'in sala per registrarne la versione definitiva. I primi che s'accorsero della natura magica di quest'esperienza furono loro stessi, e con la profondità d'un fenomenologo delle religioni quale Rudolf Otto: oltre a cotanta fanìa "numinosa-misteriosa", colsero pur'il sovrastare del "tremendum" sul "fascinans". Non si fecer'ingannare da intese telepatiche, ispirazioni miracolose, incontri e coincidenze straordinarie (a es. quella con Alan McGee, il proprietario della "Creation", all'epoca la miglior etichetta discografica inglese). Furon'anche sempre consapevoli della transitorietà del loro successo proprio poiché ciò che di buono e di bello gli capitava era palesemente, sfacciatamente, spudoratamente al di fuori d'ogni umana forma di controllo o gestione. L'eccezionale pregio del lungometraggio di Whitecross consiste nell'aver colto e catturato tutt'i singoli attimi di tale vicenda, ch'il duo di Manchester non esita a definire "biblica", dall'incipit d'"Abele e Cabele" ("Abel and Cable") all'epilogo sul fatuo svanire del luccichio dei fuochi d'artificio. La tragica coscienza del "sic transit gloria mundi" è espressa pure nei titoli dati agl'album d'esordio, "Definitely Maybe" e "(What's the Story) Morning Glory?": si lambisce una condizione pseudodivina giusto quel tanto per poi risprofondare nella miseria quotidian'a una velocità ancor più "supersonica". Liam parla degl'Oasis alla stregua d'un gruppo di "bastardi", ma la bastardaggine, prim'ancora che com'epiteto dispregiativo, andrebb'intesa come quel randagismo esistenziale denunciato dalla filosofia cinica fino a Heidegger e dalla chiusa kafkiana de "Il processo" fin'al Jim Morrison di "Riders on the Storm", il nostro essere can'in perenn'agonia a causa d'un qualcosa di basilare ch'ancora ci viene negato. Inevitabile il raffronto col documentario sui Police firmato da Grieve: stess'incroci straordinari (cfr. "Synchronicity"), stess'esito crocifiggente, anche se nel biopic di Grieve manca l'essenza del film di Whitecross, l'immediata autoconsapevolezza del proprio martirizzante destino. In quell'arco di tempo trionfale sol'in apparenza, uno della band ebb'un esaurimento nervoso e un altro dovette smettere poiché stava perdendo l'udito: apodittica testimonianza dell'illusorietà di presunte “Oasi" di pace non inclusive né tantomeno definitive. Sicché, allo stato delle cose, "no way out": no "Gimme Shelter" from the "Helter Skelter".

Davide Schiavoni e Mauro Lanari
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Autocritica "biblicamente" devastante. Nei punti topici, quelli dove lo spirito creativo arriva e scompare senza mai un perché, la commozione si fa incontenibile. "Sic transit gloria mundi", e i Gallagher non lo nascondono con una ferocia tremenda.

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