Scritta da: Silvana Stremiz
Guarda i girasoli: loro si inchinano al sole, ma se uno è troppo inchinato vuol dire che è morto. Tu sei un servitore, non un servo. Servire è l'arte suprema. Dio è il primo servitore; Lui è il servitore di tutti gli uomini, ma non è il servo di nessuno.

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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Modificata da Edoardo Grimoldi

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    “La fibbia di Guido”, di Matilde Perriera, Liceo Classico “Ruggero Settimo”, Caltanissetta
    Sofferenza e comicità. L’ossimoro concettuale, in 120 minuti, ha consentito l’energica osservazione omodiegetica di “un mondo in cui per i deportati non era previsto alcun altro termine che la morte” (P. Levi), in cui “ogni umanità era spenta, deserto radicale dello spirito” (L. Paini). “E’ una vicenda semplice, come in una favola c'è dolore e c’è felicità”. Le incisive parole fuori campo di Omero Antonutti avviano la fervida perorazione contro il genocidio perpetrato dal Nazifascismo ne LA VITA È BELLA. Il titolo, “venuto fuori all’improvviso, con un’emozione che ha fatto tremare tutte le costole” (Benigni), ha voluto sdrammatizzare il clima rovente degli anni '30, le leggi razziali del ’38, i lager, “paradigmi assoluti dell’inferno sulla Terra” (L. Paini). La rivisitazione, grandiosa per “queste commoventi storie d'amore, prima tra un uomo e una donna, poi per un figlio, in cui l'una è la continuazione dell'altra” (M. Morandini), per gli espedienti e le bugie che un padre si inventa per salvare la vita al bimbo, è stata supportata dalla valida consulenza dello storico  M. Pezzetti e, soprattutto, di Shlomo Venezia, Sonderkommando sopravvissuto di Auschwitz, preposto all’estrazione dei corpi dalle camere a gas e alla successiva cremazione. Empeirìa e sensiblerie sono i fili conduttori incentrati su Guido Orefice, il quale, pur desiderando aprire una libreria, diventa, con l’aiuto dello zio Eliseo, cameriere al Grand Hotel di Arezzo. Il protagonista, con il suo viaggio movimentatissimo,  anticipa in prolessi i drammatici eventi che costituiranno la tessitura capillare di questa avventura esistenziale. Si innamora di una maestrina, s’imbatte violentemente in un arrogante gerarca fascista, fa amicizia con il medico tedesco Lessing, si spaccia per ispettore scolastico; in albergo, allontana Dora dallo “scemo delle uova” impegnato ad annunziare il suo fidanzamento con la ragazza non troppo convinta del passo, parla a lungo con la sua “principessa”, le confessa il proprio affetto, con un cavallo “rapisce" Nicoletta Braschi ormai attratta da lui, la sposa e dal loro amore nasce Giosuè. Sei anni dopo la bufera non si è ancora scatenata su “cani ed Ebrei” e il giovane marito ha finalmente aperto la sua libreria. Proprio il giorno del compleanno di Giosuè, l'inevitabile arriva, il piccolo, Guido e lo zio vengono deportati in un campo di concentramento, mentre la donna, che non è ebrea, li segue volontariamente. Il “padre” non ha tregua. In una delle scene più geniali del film, si spaccia come traduttore del caporale tedesco, reinterpreta tutte le regole del lager inducendo il bambino a “non piangere, a non chiedere di vedere la mamma, a non lamentarsi se manca la merendina” e avvia un emozionante gioco con prove tremende, un carro armato sarà il premio finale. Immette Giosuè nel vivo della “sfida”, riesce a parlare con Dora attraverso il microfono del campo, nasconde il figlio in una cabina e marcia in maniera buffa per distrarlo, ricerca la moglie per cautelarla. Tutto sotto il suo sguardo vigile, ma, quando i Tedeschi stanno per capitolare, viene fucilato da una dittatura in ginocchio. Può la fantasia cambiare la realtà? Sì, perchè, attraverso di essa, LA VITA E’ BELLA ha inviato un messaggio di speranza al piccolo che “ha vinto” il carro armato ed è ritornato felice dalla mamma; “cercare il lato divertente, o, comunque, immaginarlo, aiuta a non essere trascinati via come fuscelli” (Benigni). Il resto è contorno. Se nell’epilogo, infatti, rimbomba contrastivo “l’è verooo!!!” dell’ignaro Giorgio Cantarini, la riflessione a posteriori sembra l’inno alla crescita interiore manifestata dalle parènesi affidate a tutti i personaggi. “Guarda i girasoli. Si inchinano al sole; se ne vedi qualcuno troppo incurvato, significa che esso è morto. Tu stai servendo, però non sei un servo. Dio serve gli uomini ma non è servo degli uomini”. Le marmoree parole di Giustino Durano sintetizzano l’orgoglio del Giosuè adulto che, dopo aver attraversato le tenebre della nostra Storia senza rendersi conto dei misfatti perpetrati intorno a lui e ridendo “di Ruggero diventato una fibbia”, ribadisce testualmente “questa è la ricostruzione della mia vita, questo è il sacrificio che mio padre ha fatto, questo è stato il suo regalo per me!”
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    una frase degna di Roberto! certe frasi in certi momenti riesono a far cambiare il momento stesso.

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