Non era uno di quegli amori platonici tanto cari all'anima e al cuore, che se ne ciba per sognare, no. Era qualcosa di più forte e intenso, più urgente e più caparbio.
Non era uno di quegli amori che ti fanno scrivere poesie, no. Le poesie le avrei anche scritte, ma non con la penna e sulla carta, ma con i baci e sulla pelle, la sua, baciata alla mia, fuse insieme senza confini precisi, incollate dal sudore della passione e dalla saliva della sete e della fame.
Non era uno di quegli amori facili, quelli che ti passa la voglia perché allunghi la mano e li tocchi, che sono sempre lì e aspettano la noia, no. Era un amore impossibile e pertanto desiderabile, voluto, agognato, bramato. Uno di quegli amori che ti levano il sonno perché senti le sue mani addosso durante tutta la notte, nonostante la distanza, nonostante il buio di non essersi mai sfiorati e la cecità di non sapersi a memoria come invece desidereresti.
E non era, no, uno di quegli amori che si portano dietro il fardello dei sogni obbligatori, quelli che, se non li realizzi, ti lasciano la vita incompiuta agli occhi dei più.
Era un amore già adulto, già libero, con l'unico orizzonte spazioso del voler trascorrere il tempo insieme perché non c'è niente di più bello che stare insieme, niente di più pieno delle ore godute condividendo gli spazi e i gusti, i libri e i dischi, le risate e i silenzi, le carezze e i baci, le lacrime e le nuvole. Uno di quegli amori così belli che quasi non ci si crede e qui sta la rovina: ti assale la paura di realizzarlo perché potresti scoprirti vera e completa, potresti scoprire che la vita esiste, che la meta è raggiungibile, che fuori dalla porta c'è qualcosa che non sempre fa male, che forse addirittura fa bene e che chi ti ha raccontato il contrario ha venduto il suo cuore tanto tempo fa e non poteva far altro che rubarne uno qualsiasi, il tuo.
Composta giovedì 6 settembre 2012
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