Scritta da: Mariella Buscemi
Ti cito in ogni mia menzione notturna come poesia dell'anima.
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Ti cito in ogni mia menzione notturna come poesia dell'anima.
Come un cacciatore, tu, e con l'ennesima taglia sulla mia testa. Con una collana di zanne d'avorio e pronto col pugnale per squartare la carne, scuoiarmi, ché da macellare m'è rimasto d'essere. Incedi, lento. Un rituale. Il sacrificio. Un canto Apache ed il tam tam di un tamburo.
Ti stringerei il cuore ed ho la certezza che mi farebbe lo stesso male che strozzare fil di ferro arrugginito. Spinoso e pericoloso come il tetano. Una malattia infettiva che genera il virus della dipendenza.
Pericoloso gioco di equilibri instabili, sbilenchi, su un piano obliquo di precarietà. Funamboli inesperti sul filo del rasoio. Cado non cado. Vedo non vedo. In punta sul precipizio e mi costringo a guardare giù, per la vertigine, per qualcosa che ti somigli. Il pensiero come volo in aria, salto carpiato all'indietro, un fenomeno da baraccone. Sorrisi accentuati di vecchi clown tristi sotto al cerone marcato. Non sei un semplice "taglio netto", sei la minaccia di una ferita.
Se io ti fossi appena un quarto di quanto tu mi sei, io sarei.
Catturami i sogni, la condensa di immagini e residui. Un acchiappasogni che se c'è il vento fa rumore al passare del sonno e della notte. E sto sveglia per esserci quando arrivi e, piano, cammini nella mia testa, facendoti riconoscere, fatto d'indifferenza, dandomi i tuoi segnali. E poi, scendi più giù a disegnare gli incubi nel cuore, a ricordarmi, anche nel sonno, che ci sei e non te ne vai neppure se cerco di scacciarti, ché le difese sono deboli e riemergi da ogni dove. La porta socchiusa ed io che ti aspetto ogni notte e non mi bastano le lenzuola per tentare una fuga, ché intrecciate non riuscirebbero a colmare nessuna distanza e nessuna lunghezza.
Stanotte, a questa luna, miagolo contro, graffio la mezza faccia che non mi piace, salto per i suoi crateri, gioco a far brillare i miei occhi nel buio, irradiata dalla sua luminescenza e ci mettiamo tutti in fila: luna, stelle, occhi. Poi, le faccio le fusa, quando, piano, vicino a Marte, arrossisce; dev'essere innamorata. Diventa un sorriso che spacca l'oscuro e scambia appuntamenti ogni notte, vestendosi a quarti e facendosi piena tra le sue braccia. E io che sono sempre mezza, mai intera, ché tu non m'abbracci mai.
Mi specchio in te per riconoscermi. Mi si apre il cuore, spacca come la melagrana. Mi sento in guerra con me, ma deve giungere il tempo della pace calma, ma per trovarla, devo smettere di aver paura di te, dello spazio che ti crei nella mia testa. Ti guardo con gli occhi dell'immaginazione, ti stringo in abbracci nostri, dove non c'è nessun altro, appiccicarci la pelle con il sudore della fatica dell'amore consumato nella notte, spogliarci dei "no, non posso", per vestirci di "si, ti voglio"; mai stati più nudi in vita nostra. Il silenzio degli occhi negli occhi, la stretta forte delle mani nelle mani.
Non voglio pensarti se non dentro ad un mio abbraccio. La testa sul petto, la serenità crescente. E le tue prigioni si dissolvono.
La parte difficile non è pensarti, è non pensarti!