Il Premio Nobel per la Letteratura 2015 è stato assegnata alla scrittrice e giornalista bielorussa Svetlana Alexievich.
Sara Danius, presidente della Accademia svedese, ha motivato così la scelta: “per la sua scrittura polifonica, e per un lavoro che è un monumento alla sofferenza e al coraggio del nostro tempo. Negli ultimi 30 o 40 anni si è occupata della mappatura dell’individuo sovietico e post sovietico. La sua però non è una storia fatta di eventi, ma una storia di emozioni. Ciò che ci offre nei suoi libri è un mondo emotivo, in modo che gli eventi storici che tratta nei suoi libri, come ad esempio il disastro di Chernobyl o la guerra sovietica in Afghanistan, siano pretesti per esplorare l’individualità del singolo“.
Svetlana Alexievich è la 14esima donna a vincere un Nobel per la Letteratura; prima di lei nel 2013 fu la canadese Alice Munro. Nata nella città ucraina di Ivano-Frankivsk da padre bielorusso e madre ucraina il 31 maggio 1948, inizia la sua carriera come insegnante e successivamente come giornalista. Alexievich ha raccontato i principali eventi dell’Unione Sovietica nel secondo dopoguerra, e i suoi libri – tradotti in 40 lingue – sono banditi nel suo paese di origine. Fortemente critica nei confronti del regime dittatoriale in Bielorussia, è stata perseguitata dal regime del presidente Lukašenko – che ha definito l’autrice al soldo della CIA – e ora vive a Parigi, dove appare nei festival più importanti, tra cui Il Festival della Letteratura di Mantova che l’ha avuta ospite proprio nell’ultima edizione 2015.
In uno dei libri che le è valso il Nobel – Preghiera per Chernobyl – Svetlana ha ascoltato e raccontato le storie di chi è rimasto dopo il più grande disastro al mondo del nucleare civile. Storie di vecchie contadine bielorusse, madri e mogli, che hanno visto la carne dei loro uomini (soccorritori ed elicotteristi intervenuti per spegnere la centrale in fiamme) staccarsi dalle ossa per le radiazioni; ha parlato con gli operai che hanno costruito il sarcofago destinato a contenere il «raggio invisibile» e che stavano lentamente morendo di cancro. E undici anni dopo l’esplosione del 26 aprile 1986 li ha raccontati salvandoli dall’oblio e mostrando come la Storia è fatta di affetti e destini personali.
Il suo stile fonde un approccio documentario alla materia narrata con una fluidità e densità emotiva più proprie ai tempi classici del romanzo. Alexievich ha più volte ricordato che a ispirarla in questo ibrido letterario è stato lo scrittore bielorusso Ales Adamovich definendo questa modalità un “romanzo collettivo” o un “romanzo testimonianza“.
Tra le altre opere troviamo Ragazzi di zinco e Tempo di seconda mano – La vita in Russia dopo il crollo del comunismo.