Due arancini e un tè sono il mio pranzo: per cinque giorni, in piedi, tra ambulanti cinesi e colletti tesi tra cravatte e giacche. Come si ingoia male un arancino se pensi che a Montalbano li fecero diversi ed eminenti. Diversi come i suoi i giorni alle prese con cadaveri eccellenti; intarsiati da misteri da sbrogliare per menti che odiano dormire. Qui è diverso: le nostre vagano sul peggio del sopore, tra il bicarbonato del primo pomeriggio.
I criminali muoiono da vecchi con secchi ai piedi sbavanti di peccati. A te, un piede, l'han portato via e ironica hai sorriso al tuo risveglio per il tuo senno dentro la demenza. Pietosi parassiti, facce verdi, Topi nascosti nella tua incerta nave, cominciano a defilarsi addolorati. M'hai insegnato che le pie creanze S'imparano tra un sermone e l'altro. Eretiche, remote stravaganze: dadi che nessuno vuol lanciare perché si perde quello che si perde. Quello che s'ha e non s'è mai sognato Quello negato a te per controparte: Una famiglia e due belle labbra. Una vita che non si può sposare con pie creanze, remote stravaganze e bianchi dadi in un tappeto verde.
Che vuoi m'importi del tuo compleanno. Dei tuoi regali, degli snervanti auguri, della appuntita torta e delle foto che senti da quel giorno più pesanti.
Trucchi il tuo volto e non senza sforzo per non rimpiangermi, se non altro questa notte, e stare a galla sino a domattina, dopo aver spento l'ultima candela senza soffiarvi sopra ad occhi chiusi.
Dall'appannato specchio del make up vedrai il superstite da dentro la gabbia volar lontano come un canarino. E i regali e la squallida candela doppioni lerci di rare figurine, ti angosciano promettendo di tornare.
Non mi diverte questa allegoria: ma la tua poesia non posso più cambiarla, per rovinarla e farmi male ancora.
Quando voi ancor dormite e di favole sognate, io son desta e lesta lesta, il mio latte vi preparo. Certo, adesso è un caso raro, che vedermi voi possiate pascolare senza grate in un bel prato fiorito dove anche mio marito bruca erbetta nella quiete; Ma se forse mi vedrete, con le corna e la campana, di paura non ne avrete poiché presto capirete, e i miei cuccioli diranno, che le mamme anche grosse danno amore e rose rosse. Solo in cambio io vi chiedo e, attenzione che vi vedo, il mio latte non sciupate e le tazze sempre... vuote.
Tu non sei buona, Minù: come sei cattiva... Hai osato del toccato un po' di più; sei una predatrice alla deriva balìa di ratti enormi, e niente di più. Quanti cuccioli tuoi sepolti sono al sicuro Nell'increduto mondo dei tuoi avi? Mangi da tempo sempre meno, e Clara e Giulia, donne vengono di rado... È primavera Minù, e sai che questa notte al "Grigio " o a qualunque altro e i feromoni sazi si addormenteranno come te, col ventre che trabocca di vita e di dolore ché non sai a chi tocca. Resti per ore vicino al grattatoio Da tanto, immobile sotto le tue unghie; Come un tacito accordo le tue fusa puntuali alle carezze le archiviamo. Sai che ti guardo e so che fai lo stesso: Ma adesso lo facciamo di nascosto Per non vederci vecchi e scrivere col gesso.
Non so se restare in questo posto: dovrei, più o meno. Chiudermi in una trapunta di cristallo per intascare un cent da chi mi fissa e saggio decifra i miei "perché".
Margherita (a una lontana e bellissima "primavera")
Margherita Schegge di mine esplose pressi in una sfera: ci vedi chi legge libri e chi li stupra. Nei parchi antichi, tra colonne d'atenei nessuno ti mutilava sino in fondo. Chè se parlava di un corrisposto amore, tu, di ogni fiore, eri la più bella; ma se quel petalo dava fine ai sogni, solo una stella nell'ultima tua notte ti dava il suo conforto e poi morivi. Malata in cartocci colorati male servi per chi non gliene frega di dèmoni di angeli o che altro. Così, Margherita, dici dei tuoi vangeli di storie presunte inventate o vere, quando ti resto accanto tanto a lambirti il seno. Storie di chi per lei sognò la tua canzone: un giro di sole con chi non puoi incontrare e spiagge e antri senza mandorli d'aprile. Ma tu sei solamente Margherita, dolce e possente, fragile e puttana che nel vigore di quella stanza rossa spargi il tuo seme anelando zigoti di speranza.
Il tempo inconiugato Ho camminato sui sassi levigati: dopo due passi acuminati vetri. Ne valesse la pena potrei anche ferirmi; ghermirmi dal lontano e ritornare. Ma il moto ondoso della malinconia pietoso, a volte, mi cela il suo confine un monte avvolto dalla dura nebbia ove spicca la vetta un po' sorniona... Ho cominciato su vetri acuminati: dopo due passi, sassi levigati... Ne valesse la pena potrei anche fermarmi. Ma il moto ondoso della malinconia tutto sommato non è quello che sembra. Come una dura nebbia di zucchero filato.