I pugni nelle tasche rotte, me ne andavo con il mio pastrano diventato ideale; sotto il cielo andavo, o Musa, a te solidale; oh! Là, là! Quanti splendidi amori sognavo!
La sola braca aveva un largo buco. - In corsa sgranavo rime, Puccetto sognante. E l'Orsa Maggiore era la mia locanda. - Lassù le stelle in cielo avevano un dolce fru fru;
le ascoltavo, seduto ai lati delle strade, nelle sere del buon settembre ove rugiade mi gocciavano in fronte un vino di vigore;
e, rimando in mezzo ai tenebrosi fantastici, come fossero lire, tiravo gli elastici delle mie scarpe ferite, un piede sul cuore!
Svevo aveva ragione Fuori dalla penna non c'è salvezza diceva Svevo e io m'accorgo c'aveva ragione se questa è l'unica maniera che m'è rimasta di vivere ben venga tale splendore ornato di pezzi di carta e parole venute dal cuore, un cuore di plastica che scioglie al sole, auto combustibile e pieno di vapore - costretto a evaporare senza alcun pudore, lasciare il mondo cacciato dall'amore.
Svevo aveva ragione che quando scrivo sento vita fluire nient'altro in questo paradiso mi allieta al punto da dire che vi sia qualcosa di meglio di migliaia di pagine da riempire, con svaghi di realtà e di orrore che paion fantasia all'occhi del lettore e che in verità son più reali di qualsiasi attore che impara a memoria un copione per compensare un vuoto interiore.
Siamo attori di noi stessi e ci perdiamo tra i riflessi di una falsa ambizione costruita sulla notte e se mi chiami per nome allora posso dire che mi è concesso l'onore di portare vibrazione un vuoto d'emozione che parla più del sole un'assenza, una canzone una presenza priva di parole.
Svevo aveva ragione non c'è salvezza senza penna senza un cuore lacerato che si apra alla vita e le faccia da antenna.
Nelle sere d'estate andrò per i sentieri, pizzicato dal grano, pestando i fili d'erba; ne sentirò, sognante, il fresco sotto i piedi. E al vento lascerò bagnare la mia testa.
Non dirò più parole, non farò più pensieri: ma un amore infinito mi salirà nel petto, e andrò molto lontano, sarò come uno zingaro, come con una donna per i campi contento.
Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera nera e gelida in cui, nell'ora del crepuscolo, un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio, un battello leggero come farfalla a maggio.
Nella sala da pranzo, bruna, profumata di frutta e di vernice, come chi non pensa raccolsi un piatto di non so quale portata belga, e sprofondai nella mia sedia immensa.
Mangiando, udivo il pendolo, - calmo e giulivo. La cucina s'aprì in mezzo a una sbuffata. - Entrò la serva, e chissà per quale motivo, lo scialle sfatto, con malizia pettinata,
ecco il ditino tremante pose e ripose sulla sua guancia, velluto di pesche-rose bianche, e con smorfie del suo labbro bambino
per mio agio, i piatti mi riordinò vicino - poi, - ma certo per prendersi un bacio, - così mi soffiò: "Ho una freddo alla guancia, senti qui... "
È un ampio armadio scolpito; l'antica scura quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente; l'armadio è aperto, e scioglie dentro l'ombratura come onda di vin vecchio, un profumo attraente.
È un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato di panni odorosi e gialli, di straccetti di donne e fanciulli, di appassiti merletti, di scialli di nonna col grifo pitturato;
- Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde, i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori secchi il cui profumo insieme si confonde.
- Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte! Vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori se lente s'aprono le grandi nere porte.