Frusciano inattaccabili, gli albori iridescenti del ridersi addosso, d'ineffabil patire bollenti schegge, ch'addestrate fuoro, a comprimer il morbo del rivelarsi. C'è un rossore tangenziale d'anima, che all'abulia a connettersi anela, parole sepolte tra le labbra ha per daghe, che dallo scolorirsi velenoso di amicizie frantumate sono nutrite. Graffi di vino complice troneggiano, nelle anfore gementi di speranze dileguate, i pensieri cedono a guida di insulsi, sonnolenti birilli l'incedere scattante del comprimersi fantasmi di strade divora e umilia. Or è impervia scalata, ritrarsi dalla danza strisciante del maledirsi, basaltico inappagato anelito a carezze di gelida ma reale comprensione. Si cela per sempre la storia, sotto il ruvido ombrello, di un'affaticata zoppicante memoria,.
Nulla vi è più d'un pallido ristagnare, di ermeneutiche selvagge e incompiute, di gestualità scomposte malferme ancelle. Lacera questo vano, magniloquente issarsi sulla vetta sempiternamente sfuocata della carezza della verità. L'intimo gorgoglio di un silenzio primitivo, palestra è orfana di carceranti dimensioni di una scienza scapestrata e complice. Orrido è lo scenario di fogli da torturare Con falangi di immeditata poesia, da pensieri mercenari allattata. Vola traditrice l'epistemologia disiata Solo il nulla irriverente s'offre A spiegare il nulla Ed escatologie fslsamente indomite sbeffeggia. No, più non ruggisce la purezza dell'esistere ad arcani ruscelli di incompiutezza avvinta.
Lingue profane addensandosi vanno a guisa d'infedel, menzognera orazione nel triangolo d'ombra di disperso mondo che tremante respiri delusi affastella. Or non s'ode il primigenio brulicar D'una speme da cui fuoco germini Di solidali e avvolgenti seduzioni Di uomini da uomini vestiti Madidi di sorrisi ormai obliati Ove il mondo gemente s'asconde.
Scintillava in un cono d'aria il ruggito d'un orgoglio granata; sulla pelle di mille campi di pallone, l'impronta color sudore e determinazione, di chi nel libro di ogni partita, aveva scritto pagine indelebili di vita; "che bello poter narrare un giorno ai nipotini, i fasti dei nostri calcistici destini, grande Toro, in questa maglia che portiamo con onore, vedrai il segno di quanto ti portiamo, sete di vittoria ed eterno amore". Non sapeva, no, l'aereo che scelse di alzarsi in volo, che il cielo tramortito da nebbia e nuvole, lo avrebbe lasciato miseramente solo, con esistenze di sportivi fieri e indifesi, su cui qualcuno aveva scritto, la maledizione di dover appasssire precoci, come le rose di autentica bellezza; il sogno chiuse gli occhi un istante soltanto, e quella storia di trionfi dolce, pura, leggiadra come un canto, si ritrovò mucchio di frantumi al cospetto di una cupola indifferente; Superga, lo sai, il tuo ricordo ha ancora voce per parlare, di quei calciatori invincibili, che il tuo esserci ignaro e basaltico, andò ad annientare; una sciarpa allunga le sue braccia, in uno spicchio incontaminato d'urano, come a voler ringraziare commossa, quelle stelle che le insegnarono, il fascino del luccicare festante, per una vittoria importante. Chiudete lo sguardo, sportivi, e la loro memoria ritornerà, colorata di immarcescibile mito; a voi, Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert. Lo sport vero, non conosce il morso del morire.
Mai 'l silenzio complice l'alma ammorbi che d'omertà l'olezzo giustizia non soverchi, ch'il mafioso urlo, che fetido è e anco vigliacco, su pelle di fiera Trinacria non s'erga, e il suol ove agrumi e zagare la natura cantan sommerga. Or sempre di Peppino sentirai la spada di voce ch'al legal sentimento anela come a una fresca foce l'udrai indomita involarsi lungo frequenze di coraggio perché il siculo orgoglio rinasca e più non sia miraggio. No quel dì lo stilo mio e l'impegno non tramortirono ma incontrastato in volo s'alza da Trapani al Palermitano dal mar ch'arabico fu all'ellenico Akragas e al Siracusano ovè l rimembrar s'ode di color che anco per noi perirono. Non chiedermi, uomo, che mai sia il coraggio sei tu sol se credi a beltà e civiltà della tua terra e alla velenosa arsura di lettere cinque di follia costante t'opporrai, sbarrandole la via.
Or qui or là è letal frusciare di velenose labbra l'imbrattar reale ch'in traditrici menti il grembo serba e l'insolente perfidia innerva. Che davver pensi curati di nol rivelare ti può ei giugner indietro a detrimento che il privato in pubblico si può in un attimo mutare e daga divenir che fendè l tuo sentimento. Mai vi sarà niuna generazione in cui maladetti rettili non faccian delazione sol il tuo intelletto e la tua salda coscienza scongiurar posson che minin la tua esistenza.
Urla d'indiavolato ardor la tromba e ad afro primitivo suon abbeverasi soffian di spartiti demiurgiche intuizioni che la complice, alleata aere di fruscii sonori inesplorati frustan. Parlate, tasti, o qualor vi sia disio a ostentarvi irridenti imprendete sulle mammelle di note ricolme d'un piano mille volte violato ch'eppur sempre s'erge a basaltico altar. D'intarsi onirici l'orchestra sfavilla all'eccitarsi orgogliosa offresi del gelido melodiar qual del caliente arpeggio e schiava si estenua di ancestral ma sempre multiforme solfeggio. E la chitarra di leonin ruggito ondeggia alle festanti corde e al plettro ruvida sposa è l musicar nell'arcan suo rappreso d'ebbrezza accrescesi e mai più riposa.
Il ricomporsi di prische sorgenti indifferente eppur turbato odo atavico scorrimento di memorie che viaggiano su unghie che mai il tempo ebbe a scalfire. Spettatore giaccio impotente, dell'assassino gioco del rintanarsi d'un'inviolata violenza. Si snoda il labirinto di rame delle rimembranze nel velenoso perimetro d'un antico, maleodorante cortile, finché il rimpiattino fedele non s'avanzi, sgargiante, irridente metafora del celarsi all'inopportunità del vivere. Muta veste e pavoneggiandosi va l'improntitudine dell'osare fino a frontiere di seducente vastità del bellicoso dimenarsi incurante tra scogliere d'orfica impotenza. nulla urla con più studiata veemenza dell'ombra di un pensiero sempiternamente anestetizzato dalle carceri d'un irrazionale volere, che a stagliarsi s'imprende provocante sulle mura d'un obliato edonismo. Il domani s'incunea su volto eburneo cesellato in fenditure di inestirpabile miseria.
Ho pagato un riscatto alla vita, il ventre velenoso di silenzi demoni infilzando, nel nauseabondo nosocomio di inscalfibili tristezze. Rantolano odori acri d'incompiutezza Sui deformi ruscelli di ecchimosi pur fanciulle. Gemente odo Il nevroso ondeggiare dello scapestrato Agitarsi in faville di cancerogeno fango Che recondite furoreggiano In cellule prostrate All'incapacità di ricamare salutari oblii. Quando più non scorgerai Alla croce in cui credevi avvinte Le preghiere ch'il tuo abulico soffrire intarsiò Allor ti celerai diacronico Tra le siepi infuocate di parole impotenti e vane. Del rovistar t'avanzerà l'insano disio Tra gemmazioni di illusorie ripartenze D'un fiabesco stagliarsi ostaggio Tra cime di neve assonnata e distratta. Tacer non saprà né vorrà L'impronta dell'arcaico peregrinare Su cui le spoglie della fantasmica autorealizzazione Narcotizzate danzano e si estenuano.
Elevasi dell'ancestral orazion la flebil voce e a carezza or di gaudio or di lacrima s'avvince all'umil rivelarsi della lignea croce ove a troneggiar giace colui ch'ogne mal vince. Certo di quanto nel cor ha reale dimora sol quel Cristo v'è, che del tremebondo uomo la man afferra in guisa di metatemporal aurora. E aggirasi in estasi tra abbracci di navate l'alma tra i quai morbidi affreschi regnan rifulgenti ma anco polittici, mosaici e icone che d'arte e religion serban i sentimenti. E così librasi fuor del perimetro di Cronos ordinario dei dì lo scandirsi in cotesto santuario ove il luminescente sguardo della Vergine Maria fier e complice traccia all'uman destin la via.