Placido sopore e spicchi di lunula, Unghie che mappano gli ignudi corpi, Tastano care dita, e i manicordi Sotto le lenzuola han dolci armoniche. Perlustro il marame della mia stanza E trovo pace che bruna s'increspa, Filiforme, Mediterraneo antico Per le illiriche liburne sottili. Lembo di terra estremo su cui batto Le pensate onde alessandrine, faro, Tu mi affascini un cuore che rinvergina. Spengo l'ultima cicca: a sei colonne E timpano completo un crepidoma. Ho un tempio classico nel portacenere.
Non avrei voluto essere quella foglia morta di platano sola in mezzo al marciapiede pulito che la vecchia seccata di lì passando sotto una scarpa ha strascicato in strada prima di riprendere le sue faccende e il cammino.
Domenica andremo al parco La mia verde bicicletta d’antan La tua inglesina bianca con il cestino Saranno macchine del tempo Fino a sentirci primo Novecento
E di questo soltanto saremo contenti Pedalando Tu ed io un altro giorno equilibrando In equinozio di primavera
È inutile, se il meticcio alza la gamba e orina sullo zolfo del perimetro perbene. Le bottiglie d'acqua non le degna certo il padrone, si rovesciano per vari eventi ancora tappate e colme sul marciapiede o sulla strada. L'apposita appiccicosa forchettina di plastica si piega ma non s'infilza nella dura polpa zuccherina del dattero denocciolato, ed è sùbito da buttare. È inutile quando la primula bianca passa e s'increspa da se stessa che era in pattumiera; idem tutti i fiori che avrei potuto regalarle.
I morsetti fermafogli sono da anni nella confezione, non hanno mai pinzato la mezzeria dell'apertura, non hanno mai tenuto uniti i fogli di un quotidiano. Anzi, il giornale comprato ogni giorno, certi giorni nemmeno riesco a sfogliarlo; finisce nella pila perfettamente piegato per un futuro raptus delle pulizie, ed è inutile. È inutile la nostalgia appassionata del fado: se non conosco il portoghese, e non lo conosco, mi annoia. Lo stesso potrei dire di altro ed altro ancora.
Bassa pianura d'impermeabile mortale argilla dove arrivano il fiume e i suoi depositi, con poiesi e parole, vi sto forse tracciando le isoipse delle altitudini sognate, mancate? Nel lattice sottile ad oggi un altro figlio è in salvo da questo uomo.
Pregusto la terza età Non è detto infatti che io vi arrivi Giocando a bocce e a scopa Fumando sigarette ultraleggere Tra le rose del giardino L'adorato bastardino
Ho ricordi più nitidi d'infanzia E previsioni orrende sulla patria Perché sono a metà In cui si han tutte le età
Non è triste l'invecchiare Al solitario Ma la fragranza estiva di un viale D'ibridi platani dopo la pioggia.
Ho 36 anni e un minialloggio. Ingresso tinello e cucinino una camera con divano letto un bagno cieco e due balconi, 36 metri quadrati calpestabili in tutto insopportabili ormai, un metro quadro per ogni anno di mia vita.
Non è nemmeno detto che per la stessa misteriosa legge 100 metri quadrati li avrò almeno a cent'anni. A cent'anni poi mi basteranno due metri di lunghezza per novanta centimetri di larghezza.