Scritta da: Silvana Stremiz

Un po' di pietà

Erano ragazzi normali e intelligenti,
mi direte, e quando
uccisero la madre di lei si dimostrarono
lucidi e spietati...
Ora applaudite la condanna
unendovi al coro degli ipocriti:
volete esorcizzare il vostro male!
Erano ragazzi normali e potevano
essere figli vostri...
e ciò v'inorridisce.
Ma forse noi dovremmo avere
un po' di pietà per loro.

Ora che cosa potrei dire a Erika
se fossi suo padre:
Oddio, dov'ero Erika,
come potevo non accorgermi
che in cuore ti ribolliva quell'assurda
e orrenda gelosia;
perché soltanto di gelosia si tratta,
ne sono certo.
È colpa mia, non tua,
se non me ne sono accorto.
Come potevi credere
che il mio amore fosse poco e divisibile?
Il mio amore, tu non lo sapevi,
era più grande e illimitato
e comprendeva te, la mamma e il fratellino.
È colpa mia, non tua,
se tu non lo hai capito.

O voi tutti che giudicate, siete buoni!
Voi avete sempre amato vostra madre, ricordate.
Quando era vecchia l'avete messa in un ospizio,
quel più comodo,
sulla strada percorsa nei weekend.
Così potevate fermarvi un momentino,
senza perder tempo:
-Cara mamma, ti ho portato un regalino,
una scatola di biscotti, quelli molli,
che puoi mangiare anche tu, senza dentiera.
Sei contenta? - E andate via.

Anche voi avete ucciso vostra madre
e dovreste avere almeno
un po' di pietà per voi.
Edward Sgubj
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Non m'importa

    Che senso ha coprirmi di attenzioni
    proprio ora che mi stai lasciando?
    E perché continui a cucinare
    che non abbiamo neanche voglia di mangiare?

    Da dietro ti guardo di sfuggita
    mentre tu trambusti tra i fornelli,
    vedo il tuo collo bianco e il tuo codino
    e le tue gambe sottili di bambina;
    e il cuore mi si gonfia di tristezza.

    Poi ti giri e nel tuo viso contratto
    leggo una dura ostinazione
    e da un puntino nero della pelle
    che non ti avevo mai notato prima
    sembra sprizzare fuori il tuo rancore.
    Non riesco a capire cosa ho fatto
    per suscitare un odio così forte.

    Tuttavia mi prepari il caffelatte
    col pane raffermo, che a me piace,
    cosa che tu mai facevi prima;
    mi sembra un gesto pietoso come quando
    si offre un lauto pranzo al condannato
    prima di trascinarlo dal suo boia.

    Che me ne importa a me del caffelatte
    se ora tu vuoi andare via?
    Che importa a me di lavorare,
    che m'importa dei soldi e della roba?
    Che m'importa di finire sotto un camion,
    che m'importa di cadere da un ponteggio,
    che m'importa di morire per un cancro
    se ora vuoi andare via?
    Non m'importa, non m'importa,
    non m'importa proprio niente.
    Edward Sgubj
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Contrasto

      Tornano le notti tiepide di aprile,
      o amore, e nuovamente la luna
      batte sul mio vaso di viole soavemente
      e su le irte siepi fiorite
      di rovo e biancospino.
      Lievi si dischiudono intanto,
      come rose tra spine, i nostri
      sogni d'amore,
      così come vedremo
      fiorire la felicità
      in una forse imminente primavera.

      Si, nuovamente la luna
      si riflette nei torbidi miei occhi,
      si specchia nei pantani,
      e inutilmente
      vuoi strappare la gramigna dal mio cuore
      con le tue piccole mani.
      Ma se l'arido stelo dell'ortica
      che nasce fra le crepe della pietra
      tu vedi fiorire a primavera,
      anche la serpe
      si scioglie a lente spire dal letargo;
      e il mio cuore si gonfia come un rospo,
      perché l'innocenza è perduta
      e il bene non è
      che l'assenza del male.
      Edward Sgubj
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Bestemmia

        come le scintille che dal legno
        che arde rapide sprizzano
        così le nostre vite per un attimo
        di odio e amore si accendono
        e svaniscono in un vortice di fumo

        così pure gli infiniti universi
        durano un tempo effimero
        che a noi pare interminabile
        e irresistibilmente
        sono attratti in un orrido imbuto

        oh tu, se esisti
        oltre lo spazio e il tempo
        e origini questo caos
        e contempli l'inutile dolore
        di ogni vita,
        la nascita e la morte,
        la pianta che germoglia e rinsecchisce,
        cessa, ti prego, il tuo gioco perverso
        e riducimi in polvere insensibile.
        Edward Sgubj
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          L'ippocastano malato

          Da dove viene questa larva che s'insinua
          fra le tenere foglie dei castani
          amari e invisibile ne succhia
          la linfa e le lascia secche
          e attorcigliate, come in un precoce
          autunno? E questa pianta che morendo
          impazzisce, nei suoi rami bassi
          rigetta nuove foglie e alcuni
          grappoli di sterili fiori, quasi fosse
          ingannata dal pallido sole
          che non riscalda e tristemente prelude
          alle imminenti gelate dll'inverno.

          Da dove viene questo amore
          così fuori stagione, che rinasce
          nel cuore di un vecchio solo e disilluso?
          È forse la paura della morte
          che mi fa scoppiare nella testa
          questa insana pazzia, perché nulla
          mi può ingannare, se ragiono.
          Oppure è il mio solito bisogno
          di invaghirmi di un sogno, ed ora
          mi sembra di amare questa donna
          che è così simile a lei, ma non è vero.
          Edward Sgubj
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Allegoria

            Il mandarino contenne la sua ira
            quando i sevitori tremanti riferirono
            che dalla gabbietta aperta il passerotto,
            che più di ogni cosa amava, era sparito.
            Egli salì sopra la torre
            e scrutando il cielo in lontananza
            vide l'uccellino che fuggiva
            e che, credendo di volare verso il sole,
            s'inoltrava fra le nubi di tempesta.
            Con terrore pensò al buio della notte
            popolato di orribili grifagni
            che fra poco avrebbe avvolto
            l'improvvido uccellino infreddolito.
            Allora fu grande il suo dolore.

            Arrivarono da tutto il regno
            musici, buffoni e concubine
            e le stanze della reggia risuonavano
            di allegre musiche di danza.
            Ma più niente rallegrava il mandarino.

            I mercanti portarono le sete
            più lievi fruscianti e colorate
            e le gemme preziose incastonate
            in splendidi gioielli.
            Ma più niente interessava al mandarino.

            I maghi allora gli donarono
            pavoni finti costruiti
            con piume d'oro o di cristallo
            e con occhi di zaffiro o rubino
            e che dentro avevano un congegno
            che imitava il trillo di un uccello.
            Ma più niente ingannava il mandarino.

            E i savi dottori che venivano
            con libri polverosi gli spiegavano
            che gli uccelli derivano dai rettili
            e che lui si era innamorato
            di un piccolo serpente con le piume.
            Ma più niente consolava il mandarino.

            Tutti i giorni seguenti il mandarino
            saliva sulla torre alta
            e con un lungo cannocchiale
            scrutava il cielo fino all'orizzonte,
            incurante delle orde dei nemici
            che premevano oltre la muraglia.
            Sperava di vedere l'uccellino
            volare in lontananza;
            e il cielo era solcato
            dai voli dei terribili rapaci.

            Oh se ti avessi dato
            una gabbietta con le stecche d'oro,
            oppure avessi costruito per te, nel mio giardino,
            con fili invisibili, un'aerea voliera.
            Ora ti poseresti felice
            fra i cespi delle rose e sopra i rami
            dei ciliegi in fiore.
            O forse bastava
            che io ti parlassi ogni mattina,
            e tu saresti qui sulla mia mano.

            Ora attendo soltanto
            le orde dei nomadi nemici
            feroci tagliatori di teste che verranno
            dalle steppe immense,
            cavalcando diabolici destrieri;
            e scaleranno i bastioni di difesa
            e irromperanno nella fertile pianura
            incendiando i campi di riso e la mia reggia.
            Ma più nulla m'importa e io non temo
            l'infausto mio destino e la morte atroce
            che inesorabilmente, a lunghi passi, si avvicina.
            Edward Sgubj
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Paradisi perduti ora non ricordiamo il dolce
              tempo delle colombe
              e la felicità
              non si è posata più
              sui nostri cuori.

              No, non dite
              a noi stoltamente piangenti
              che gli orridi imbuti sono aperti,
              ora come sempre,
              e che l'angelo più bianco
              starnazza con ali di corvo!

              Ma nuovamente Satana che ride
              a noi grida la nostra solitudine
              mostrando i giardini deserti
              e la serpe annidata sotto i fiori.
              Edward Sgubj
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