Ti offro parole sazianti e l'eco di abbracci caldi quando sul mio petto posi le tue paure e tutto scompare per pochi attimi mentre la tua letizia fruga tre le mie inquietudini e la furia di un amplesso diventa apologia dell'estasi
Come sono possenti i colori nelle tonalità del noi e le tue cosce sono stazioni di una via Crucis senza fiele né dolore
Ti offro le pause tra un sospiro e l'altro Io che ho amato solo l'aria che respiro m'innamoro di ogni spiffero che la tua bocca ammanta di speranza.
Sento quel vacuo senso d'infinito che alimenta la marea del nulla come fiore di ciliegio in attesa d'una primavera che più non rifiorisce.
È l'apnea il rifugio delle mie utopie mentre il mondo scopre nuovi boia ed i giorni sono uteri feroci che del mestruo han fatto il grido di battaglia.
Non ci sono rose non ci sono giardini solo le verdi lusinghe del petrolio ad alimentare oasi di cemento e tutto attorno in astinenza d'ossigeno lo sciamare di rifiuti animati e cervelli inermi in file disadorne su propaggini di coscienze mute.
Sento le tue mani su di me mi accorgo d'esser vivo in un contesto di paralisi e tutto attorno rinasce l'euforia d'un canto nuovo come concerto di rose allo scoccar di mezzanotte.
Si spegne il sorriso come luna celata ai corvi quando nel respiro si distingue l'affanno e le parole muoiono su rintocchi di fiato indeciso.
Com'è dolce la tempesta se la osservi al tepore dell'anima.
Si frantuma l'incantesimo in rigagnoli di gocce autoritarie che cancellano il sudore lieto e le labbra sono cantilene stanche d'una musica che non sa più suonare.
Questa pioggia che sbatte inesorabile contro finestre chiuse sgretola anime come argini il fiume e poi trasale
questa pioggia che consuma tepori non sente il dolore ma denuda attimi e sparge morte su avanzi di strade.
È un sottile disegno la vita una matita che si spezza su fogli che sanno d'incompiuto trenta secondi d'amplesso furiosamente rubati all'anoressia del tempo
un giardino incolto d'un cimitero muto come la mia voce sola orgasmo strappato ad un amore folle che urla nel silenzio.
Noi saremo il nostro tempo e oltre l'immaginario al riparo dagli occhi malevoli che con sospetto guarderanno al nostro amore con l'invidia del vorrei ma non posso al riparo dalle ingannevoli promesse da sospiri di lusinghe e percosse che come tempeste si abbatteranno sui nostri occhi tentando gli sguardi con squarci di oro riflesso.
Noi saremo il presente e il quotidiano orme levigate dal vento e solchi imbrattati di scarpe su sentieri pronti all'asfalto noi saremo figli e padri di ventri e madonne figli e madri di stupri e ricatti ma non moriremo invano se ci saremo amati anche per un solo istante.
Noi saremo il seme di Dio se sommeremo coscienze all'esistenza del Noi.
Quanto rumore fa la notte quando i pensieri sono polluzioni di sogni e le incertezze gravitano nude tra le parentesi dell'infinito.
L'amore sta su una panchina vuota come donna genuflessa al mattino al cospetto di Dio in sintonia di rosari e preghiere tra le labbra l'Ave Maria.
E poi si scuote l'ombra dal vento dipinta di forme a riflettere coni d'anima sulla risacca di orme sospese.
L'amore sta sul boulevard delle illusioni come donna genuflessa la sera al cospetto dell'eros in sintonia di amplessi e piacere tra le labbra il nettare proibito.
Quanto rumore fa la notte quando risuona l'eco di orgasmi lontani e la mia bocca trema al solo evocare il tuo nome.
Se tu fossi notte declineresti i passi con l'umidità del ventre invece di lasciare alle stelle il compito di orlare il sentiero e cederesti il seno alla mia bocca avida in attesa del sesso come plettro affamato sulla tua chitarra indomita.
Se tu fossi luna agiteresti la marea tra quelle cosce ansiose di risacca e cercheresti roccia per poi giacere riva su cristalli di pelle nuda.
Se tu fossi vento agiteresti foglie in cerca d'approdo su consistenze di ramo e ti specchieresti nuda alla fonte dell'Eden come scatto senza età su punte d'oblio rivolte all'infinito.
Sdraiato sul divano in modalità self service con le mosche aggrappate alla pelle a sorseggiare la calura opprimente ascolto rintocchi di morte sulle macerie d'un dardo assonnato e seni sdruccioli di attempate signore che adescano vecchi ricordi di vecchi eroi che han commesso atti impuri.
Se spingo lo sguardo oltre posso sentire il vociare delle cicale o forse sono lingue work in progress che ridestano sensi o forse sono orgasmi last minute consumati in radure di fortuna su cofani d'auto in ebollizione che catturano flash di circostanza e selfie di visi schiacciati su finestrini sporchi mentre il ramo si fa tronco e la linfa scende goccia a goccia inesorabile tra cosce imbrattate di colore.
Sei rintocchi di campana. È ora di andare alla messa.
Spremere seni di corpi maturi sul greto crepuscolare dei giorni e avventare mani su limoni indecisi alla ricerca di lacrime e sorgenti di estasi su gocce di ricordi che non placano la sete.
Solleticare l'impensato dando un senso agli eufemismi mentre il torchio si fa burro e le labbra scivolano lente sulla bocca impolverata dalla morale e dagli affanni e si scioglie come cera l'ultimo lume a mezzanotte.
Respirare come un mantra l'insaziabile euforia d'un cerino che s'accende e la notte rende aurora mentre fuori sulle scale urla il vento tra gli amplessi e l'orgasmo che l'assale non è che l'eco degli applausi.