Poesie di Eugenio Montale

Scrittore, poeta, giornalista, traduttore e critico musicale, nato lunedì 12 ottobre 1896 a Genova (Italia), morto sabato 12 settembre 1981 a Milano (Italia)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi.

Scritta da: Silvana Stremiz

Gloria del disteso mezzogiorno

Gloria del disteso mezzogiorno
quand'ombra non rendono gli alberi,
e piú e piú si mostrano d'attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe.

Il sole, in alto, - e un secco greto.
Il mio giorno non è dunque passato:
l'ora piú bella è di là dal muretto
che rinchiude in un occaso scialbato.

L'arsura, in giro; un martin pescatore
volteggia s'una reliquia di vita.
La buona pioggia è di là dallo squallore,
ma in attendere è gioia piú compita.
Eugenio Montale
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    In limine

    Godi se il vento ch'entra nel pomario
    vi rimena l'ondata della vita:
    qui dove affonda un morto
    viluppo di memorie,
    orto non era, ma reliquario.

    Il frullo che tu senti non è un volo,
    ma il commuoversi dell'eterno grembo;
    vedi che si trasforma questo lembo
    di terra solitario in un crogiuolo.

    Un rovello è di qua dall'erto muro.
    Se procedi t'imbatti
    tu forse nel fantasma che ti salva:
    si compongono qui le storie, gli atti
    scancellati pel giuoco del futuro.

    Cerca una maglia rotta nella rete
    che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
    Va, per te l'ho pregato, - ora la sete
    mi sarà lieve, meno acre la ruggine...
    Eugenio Montale
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La casa dei doganieri

      Tu non ricordi la casa dei doganieri
      sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
      desolata t'attende dalla sera
      in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
      e vi sostò irrequieto.

      Libeccio sferza da anni le vecchie mura
      e il suono del tuo riso non è più lieto:
      la bussola va impazzita all'avventura
      e il calcolo dei dadi più non torna.

      Tu non ricordi; altro tempo frastorna
      la tua memoria; un filo s'addipana.

      Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
      la casa e in cima al tetto la banderuola
      affumicata gira senza pietà.
      Ne tengo un capo; ma tu resti sola
      nè qui respiri nell'oscurità.

      Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
      rara la luce della petroliera!
      Il varco è qui? (ripullula il frangente
      ancora sulla balza che scoscende... ).
      Tu non ricordi la casa di questa
      mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
      Eugenio Montale
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Arsenio

        I turbini sollevano la polvere
        sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
        deserti, ove i cavalli incappucciati
        annusano la terra, fermi innanzi
        ai vetri luccicanti degli alberghi.
        Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
        in questo giorno
        or piovorno ora acceso, in cui par scatti
        a sconvolgerne l'ore
        uguali, strette in trama, un ritornello
        di castagnette.
        È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
        Discendi all'orizzonte che sovrasta
        una tromba di piombo, alta sui gorghi,
        più d'essi vagabonda: salso nembo
        vorticante, soffiato dal ribelle
        elemento alle nubi; fa che il passo
        su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
        il viluppo dell'alghe: quell'istante
        è forse, molto atteso, che ti scampi
        dal finire il tuo viaggio, anello d'una
        catena, immoto andare, oh troppo noto
        delirio, Arsenio, d'immobilità...
        Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
        dei violini, spento quando rotola
        il tuono con un fremer di lamiera
        percossa; la tempesta è dolce quando
        sgorga bianca la stella di Canicola
        nel cielo azzurro e lunge par la sera
        ch'è prossima: se il fulmine la incide
        dirama come un albero prezioso
        entro la luce che s'arrosa: e il timpano
        degli tzigani è il rombo silenzioso
        Discendi in mezzo al buio che precipita
        e muta il mezzogiorno in una notte
        di globi accesi, dondolanti a riva, -
        e fuori, dove un'ombra sola tiene
        mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
        l'acetilene -
        finché goccia trepido
        il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
        tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
        le tende molli, un fruscio immenso rade
        la terra, giù s'afflosciano stridendo
        le lanterne di carta sulle strade.
        Così sperso tra i vimini e le stuoie
        grondanti, giunco tu che le radici
        con sé trascina, viscide, non mai
        svelte, tremi di vita e ti protendi
        a un vuoto risonante di lamenti
        soffocati, la tesa ti ringhiotte
        dell'onda antica che ti volge; e ancora
        tutto che ti riprende, strada portico
        mura specchi ti figge in una sola
        ghiacciata moltitudine di morti,
        e se un gesto ti sfiora, una parola
        ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
        nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
        vita strozzata per te sorta, e il vento
        la porta con la cenere degli astri.
        Eugenio Montale
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Xenia I

          Avevamo studiato per l'aldilà
          un fischio, un segno di riconoscimento.
          Mi provo a modularlo nella speranza
          che tutti siamo già morti senza saperlo.
          Non ho mai capito se io fossi
          il tuo cane fedele e incimurrito
          o tu lo fossi per me.
          Per gli altri no, eri un insetto miope
          smarrito nel blabla
          dell'alta società. Erano ingenui
          quei furbi e non sapevano
          di essere loro il tuo zimbello:
          di esser visti anche al buio e smascherati
          da un tuo senso infallibile, dal tuo
          radar di pipistrello.
          Eugenio Montale
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La Storia

            La storia non si snoda
            come una catena
            di anelli ininterrotta.
            In ogni caso
            molti anelli non tengono.
            La storia non contiene
            il prima e il dopo,
            nulla che in lei borbotti
            a lento fuoco.
            La storia non è prodotta
            da chi la pensa e neppure
            da chi l'ignora. La storia
            non si fa strada, si ostina,
            detesta il poco a poco, non procede
            né recede, si sposta di binario
            e la sua direzione
            non è nell'orario.
            La storia non giustifica
            e non deplora,
            la storia non è intrinseca
            perché è fuori.
            La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
            La storia non è magistra
            di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
            a farla più vera e più giusta.
            La storia non è poi
            la devastante ruspa che si dice.
            Lascia sottopassaggi, cripte, buche
            e nascondigli. C'è chi sopravvive.
            La storia è anche benevola: distrugge
            quanto più può: se esagerasse, certo
            sarebbe meglio, ma la storia è a corto
            di notizie, non compie tutte le sue vendette.
            La storia gratta il fondo
            come una rete a strascico
            con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
            Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
            d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
            Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
            Gli altri, nel sacco, si credono
            più liberi di lui.
            Eugenio Montale
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              La Bufera

              La bufera che sgronda sulle foglie
              dure della magnolia i lunghi tuoni
              marzolini e la grandine,
              (i suoni di cristallo nel tuo nido
              notturno ti sorprendono, dell'oro
              che s'è spento sui mogani, sul taglio
              dei libri rilegati, brucia ancora
              una grana di zucchero nel guscio
              delle tue palpebre)
              il lampo che candisce
              alberi e muro e li sorprende in quella
              eternità d'istante - marmo manna
              e distruzione - ch'entro te scolpita
              porti per tua condanna e che ti lega
              più che l'amore a me, strana sorella, -
              e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
              dei tamburelli sulla fossa fuia,
              lo scalpicciare del fandango, e sopra
              qualche gesto che annaspa...
              Come quando
              ti rivolgesti e con la mano, sgombra
              la fronte dalla nube dei capelli,
              mi salutasti - per entrar nel buio.
              Eugenio Montale
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                La belle dame sans merci

                Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano
                le briciole di pane che io gettavo
                sul tuo balcone perché tu sentissi
                anche chiusa nel sonno le loro strida.

                Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due
                e il nostro breakfast gela fra cataste
                per me di libri inutili e per te di reliquie
                che non so: calendari, astucci, fiale e creme.

                Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato
                sui fondali di calce del mattino;
                ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco
                soffocato è il bagliore dell'accendino.
                Eugenio Montale
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Di un Natale metropolitano

                  Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
                  di fede e di pruina sul tuo lavandino
                  e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
                  i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
                  di ragazzi infilati un po' alla svelta
                  nella cornice, una caraffa vuota,
                  bicchierini di cenere e di bucce,
                  le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
                  le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
                  non più guerra né pace, il tardo frullo
                  di un piccione incapace di seguirti
                  sui gradini automatici che ti slittano in giù….
                  Eugenio Montale
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Meriggiare pallido e assorto

                    Meriggiare pallido e assorto
                    presso un rovente muro d'orto,
                    ascoltare tra i pruni e gli sterpi
                    schiocchi di merli, frusci di serpi.

                    Nelle crepe del suolo o su la veccia
                    spiar le file di rosse formiche
                    ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
                    a sommo di minuscole biche.

                    Osservare tra frondi il palpitare
                    lontano di scaglie di mare
                    mentre si levano tremuli scricchi
                    di cicale dai calvi picchi.

                    E andando nel sole che abbaglia
                    sentire con triste meraviglia
                    com'è tutta la vita e il suo travaglio
                    in questo seguitare una muraglia
                    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
                    Eugenio Montale
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