Nella casa di fronte a me e ai miei sogni che felicità c'è sempre!
Vi abitano persone sconosciute che ho già visto senza vedere. Sono felici, perché esse non sono io.
I bambini, che giocano sugli alti terrazzi, vivono tra vasi di fiori, eternamente, senza dubbio.
Le voci che salgono dall'intimità domestica cantano sempre, senza dubbio. Sì, devono cantare.
Quando è festa qua fuori, è festa là dentro. E così deve essere laddove tutto si adatta: l'uomo alla Natura, perché la città è Natura.
Che grande felicità non essere io!
Ma anche gli altri non penseranno così? Quali altri? Non ci sono altri. Quanto pensano gli altri è una casa con la finestra chiusa, o se si apre, è perché i bambini possano giocare sulla veranda inferriata, tra i vasi di fiori che non ho mai visto quali fossero.
Gli altri non sentono mai. Chi sente siamo noi, sì, tutti noi, perfino io, che ora non sento più nulla.
Nasce un Dio. Altri muoiono. Non ci è giunta né ci ha lasciato la verità: muta l'Errore. Abbiamo ora un'altra Eternità, e ciò che è passato in fondo era migliore.
Cieca, la Scienza ara gleba vana. Folle, la Fede vive il sogno del suo culto. Un nuovo Dio è solo una parola. Non credere o cercare: tutto è occulto.
Come alle volte in un giorno azzurro e mansueto nel vivo verde della pianura calma di una improvvisa nube l'avanzare pallidamente le erbe affosca così ora nella mia anima pavida che di repente svanisce e si fa fredda memoria dei morti appare...
Fra la calma e l'albereto, fra la radura e la solitudine, il mio vaneggiamento passa timoroso conducendomi l'anima per mano. È tardi già, e ancora è presto.