Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Dicono?
Dicono?
Dimenticano.
Non dicono?
Hanno detto.
Fanno?
È fatale.
Non fanno?
È uguale.
Perché
aspettare?
- Tutto è
sognare.
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Dicono?
Dimenticano.
Non dicono?
Hanno detto.
Fanno?
È fatale.
Non fanno?
È uguale.
Perché
aspettare?
- Tutto è
sognare.
Stanca essere, sentire duole, pensare distrugge.
A noi estranea, in noi e fuori,
precipita l'ora, e tutto in lei precipita.
Inutilmente l'anima lo piange.
A che serve? Che cos'è che deve servire?
Pallido abbozzo lieve
del sole d'inverno che sorride sul mio letto...
Vago sussurro breve.
Delle piccole voci con cui il mattino si sveglia,
della futile promessa del giorno,
morta sul nascere, nella speranza lontana e assurda
in cui l'anima confida.
Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l'aria notturna,
fresca in confronto all'estate calda del giorno.
Che bello, non sto pensando a niente!
Non pensare a niente
è avere l'anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
È come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...
Tutte le lettere d'amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d'amore se non fossero
ridicole.
Anch'io ho scritto ai miei tempi lettere d'amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d'amore, se c'è l'amore,
devono essere
ridicole.
Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d'amore
sono
ridicoli.
Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d'amore
ridicole.
La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere
a essere ridicoli.
(Tutte le parole sdrucciole,
come tutti i sentimenti sdruccioli,
sono naturalmente
ridicole).
Ma che piacere
non compiere un dovere,
avere un libro da leggere
e non farlo!
Che noiosa la lettura,
che pochezza la cultura!
Il sole splende senza letteratura.
Il fiume scorre, bene o male,
senza edizione originale.
E la brezza che passa,
naturale e mattiniera,
sa che ha tempo, e non ha fretta...
I libri sono carta inchiostrata.
Lo studio è una cosa ove è indistinta
la distinzione fra il niente e cosa alcuna.
Quanto è meglio, se c'è bruma,
aspettare Don Sebastiano,
venga o non venga
Grande è la poesia, la bontà e le danze...
ma le cose migliori son l'infanzia,
fiori, musica, chiardiluna, e il sole, che pecca
solo se invece di nutrire secca...
E ancor meglio di questo
è Gesù Cristo,
che non sapeva niente di finanze
né consta che avesse biblioteca.
Lontano da me in me esisto
fuori da chi io sono,
l'ombra e il movimento in cui consisto.
Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo...
Ho pena delle stelle.
Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?
Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso...
Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?
Mare anteriore a noi, le tue paure
avevano corallo e spiagge e alberete.
Sbendate la notte e la caligine,
le tormente ppassate e il mistero,
si apriva in fiore la Lontananza, e il Sud siderale
splendeva sulle navi dell'iniziazione.
Linea severa della riva remota:
quando la nave si approssima, s'alza la costa
in alberi ove la lontananza nulla aveva;
più vicino, s'apre la terra in suoni e colori:
e, allo sbarco, ci sono uccelli, fiori,
ove era solo, di lontano, l'astratta linea.
Il sogno è vedere le forme invisibili
della distanza imprecisa, e, con sensibili
movimenti della speranza e della volontà,
cercare sulla linea fredda dell'orizzonte
l'albero, la spiaggia, il fiore, l'uccello, la fonte:
i baci meritati della Verità.
Dietro quella finestra
la cui tenda non muta
situo la vista di lei
che l'anima studia in sé stessa
nel desiderio che la rivela.
Non ho difetto d'amore.
Chi m'ami non manca.
Ma altro sapore avrebbe,
se ciò accadesse all'interno
di quella alta finestra.
Perché? Se sapessi, avrei
tutto che avere desidero.
Amai un tempo la Regina,
e c'è sempre nella mia anima
un trono da occupare.
Ogni volta che posso sognare,
ogni volta che non vedo, situo
il trono in quel luogo;
oltre la tenda il focolare,
oltre la finestra il sogno.
Così, passando, intreccio
l'artificio della strada
e un poco di me m'oblio.
Poi più nulla chiedo alla vita,
tranne d'esserne il vicino.
Il bambino biondo
giace sul selciato.
Ha le viscere fuori
e legato a uno spago
un trenino ignorato.
È un fascio il suo volto
di sangue e di niente.
Luccica un pesciolino
un pesciolino di vasca da bagno
accanto al marciapiede.
Sulla strada viene sera.
Un chiarore sullo sfondo
annuncia un futuro che sorge.
E quello del bambino biondo?