Ci sono immagini che la memoria muta, confonde, ma non riesce a cancellare: Auschwitz e orizzonti di filo spinato; colline di scarpe abbandonate. In un mosaico di tetri colori, sbiadite dal sole, la pioggia, la cenere dormono sonni inquieti, evocano fantasmi che non possono gridare.
Restano immobili nel mare di pelle e cuoio, nell'odore dolciastro della morte, i lacci slegati, come lisci capelli: sporchi, canuti, appassiti nel vento. Non legano più carne ai giorni a venire, non sanno più danzare, correre, saltare; non hanno più un pallone di stracci da rincorrere
Scarpe che nascondono storie da raccontare, con le loro parole di fango e sudore Piccole barche abbandonate al fiume della follia, riassumono una vita: perché nella semplice assenza della loro compagna di sempre ognuna cela in sé il senso stesso dell'abbandono
Scarponi pesanti, duri, vissuti e scarpe eleganti, leggere, da ballerina giacciono insieme, nella polvere del tempo, in un dolore cieco, che non fa distinzioni mentre freddi fiocchi di neve, stelle senza più cielo, cadono lasciando accesi solo i piccoli falò del cuore.
Una neve, bellissima e bugiarda, cancellerà stanotte il profilo dei camini e le impronte di migliaia di anime scalze - a piedi nudi in viaggio – sulla strada che unisce la fragile memoria dell'uomo ad un ingiusto Paradiso.