L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno Da' bei vermigli fiori Nel muto orto solingo Rinverdģ tutto or ora, E giugno lo ristora Di luce e di calor. Tu fior de la mia pianta Percossa e inaridita, Tu de l'inutil vita Estremo unico fior, Sei ne la terra fredda, Sei ne la terra negra; Né il sol piś ti rallegra Né ti risveglia amor.
La nebbia agli irti colli Piovigginando sale, E sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; Ma per le vie del borgo Dal ribollir dč tini Va l'aspro odor de i vini L'anime a rallegrar. Gira sł ceppi accesi Lo spiedo scoppiettando: Sta il cacciator fischiando Su l'uscio a rimirar Tra le rossastre nubi Stormi d'uccelli neri, Com'esuli pensieri, Nel vespero migrar.
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti Van da San Guido in duplice filar, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardar. Mi riconobbero, e - Ben torni omai - Bisbigliaron včr'me co 'l capo chino - Perché non scendi? Perché non ristai ? Fresca č la sera e a te noto il cammino. Oh sičditi a le nostre ombre odorate Ove soffia dal mare il maestrale: Ira non ti serbiam de le sassate Tue d'una volta: oh non facean gią male! Nidi portiamo ancor di rusignoli: Deh perché fuggi rapido cosķ ? Le passere la sera intreccian voli A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! - - Bei cipressetti, cipressetti miei, Fedeli amici d'un tempo migliore, Oh di che cuor con voi mi resterei - Guardando lor rispondeva - oh di che cuore ! Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire: Or non č piś quel tempo e quell'etą. Se voi sapeste!... via, non fo per dire, Ma oggi sono una celebritą. E so legger di greco e di latino, E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtś: Non son piś, cipressetti, un birichino, E sassi in specie non ne tiro piś. E massime a le piante. - Un mormorio Pč dubitanti vertici ondeggiņ E il dķ cadente con un ghigno pio Tra i verdi cupi roseo brillņ. Intesi allora che i cipressi e il sole Una gentil pietade avean di me, E presto il mormorio si fč parole: - Ben lo sappiamo: un pover uom tu sč. Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse Che rapisce de gli uomini i sospir, Come dentro al tuo petto eterne risse Ardon che tu né sai né puoi lenir. A le querce ed a noi qui puoi contare L'umana tua tristezza e il vostro duol. Vedi come pacato e azzurro č il mare, Come ridente a lui discende il sol! E come questo occaso č pien di voli, Com'č allegro dč passeri il garrire! A notte canteranno i rusignoli: Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire; I rei fantasmi che dą fondi neri De i cuor vostri battuti dal pensier Guizzan come da i vostri cimiteri Putride fiamme innanzi al passegger. Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno, Che de le grandi querce a l'ombra stan Ammusando i cavalli e intorno intorno Tutto č silenzio ne l'ardente pian, Ti canteremo noi cipressi i cori Che vanno eterni fra la terra e il cielo: Da quegli olmi le ninfe usciran fuori Te ventilando co 'l lor bianco velo; E Pan l'eterno che su l'erme alture A quell'ora e ne i pian solingo va Il dissidio, o mortal, de le tue cure Ne la diva armonia sommergerą. - Ed io - Lontano, oltre Apennin, m'aspetta La Tittķ - rispondea; - lasciatem'ire. Č la Tittķ come una passeretta, Ma non ha penne per il suo vestire. E mangia altro che bacche di cipresso; Né io sono per anche un manzoniano Che tiri quattro paghe per il lesso. Addio, cipressi! Addio, dolce mio piano! - - Che vuoi che diciam dunque al cimitero Dove la nonna tua sepolta sta? - E fuggķano, e pareano un corteo nero Che brontolando in fretta in fretta va. Di cima al poggio allor, dal cimitero, Giś dč cipressi per la verde via, Alta, solenne, vestita di nero Parvemi riveder nonna Lucia: La signora Lucia, da la cui bocca, Tra l'ondeggiar de i candidi capelli, La favella toscana, ch'č sķ sciocca Nel manzonismo de gli stenterelli, Canora discendea, co 'l mesto accento De la Versilia che nel cuor mi sta, Come da un sirventese del trecento, Piena di forza e di soavitą. O nonna, o nonna! Deh com'era bella Quand'ero bimbo! Ditemela ancor, Ditela a quest'uom savio la novella Di lei che cerca il suo perduto amor! Sette paia di scarpe ho consumate Di tutto ferro per te ritrovare: Sette verghe di ferro ho logorate Per appoggiarmi nel fatale andare: Sette fiasche di lacrime ho colmate, Sette lunghi anni, di lacrime amare: Tu dormi a le mie grida disperate, E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. - Deh come bella, o nonna, e come vera Č la novella ancor! Proprio cosķ. E quello che cercai mattina e sera Tanti e tanti anni in vano, č forse qui, Sotto questi cipressi, ove non spero, Ove non penso di posarmi piś: Forse, nonna, č nel vostro cimitero Tra quegli altri cipressi ermo lą su. Ansimando fuggķa la vaporiera Mentr'io cosķ piangeva entro il mio cuore; E di polledri una leggiadra schiera Annitrendo correa lieta al rumore. Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo Rosso e turchino, non si scomodņ: Tutto quel chiasso ei non degnņ d'un guardo E a brucar serio e lento seguitņ.
Odio l'usata poesia: concede comoda al vulgo i flosci fianchi e senza palpiti sotto i consueti amplessi stendesi e dorme. A me la strofe vigile, balzante co 'l plauso e 'l piede ritmico nč cori: per l'ala a volo io cņlgola, si volge ella e repugna. Tal fra le strette d'amator silvano torcesi un'evia su 'l nevoso Edone: pił belli i vezzi del fiorente petto saltan compressi, e baci e strilli su l'accesa bocca mesconsi: ride la marmorea fronte al sole, effuse in lunga onda le chiome fremono ą venti.
Sognai, placide cose dč miei novelli anni sognai. Non pił libri: la stanza dal sole di luglio affocata, rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato da la cittą, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli, cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.
T'amo pio bove; e mite un sentimento Di vigore e di pace al cor m'infondi, O che solenne come un monumento Tu guardi i campi liberi e fecondi, O che al giogo inchinandoti contento L'agil opra de l'uom grave secondi: Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento Giro dč pazienti occhi rispondi. E del grave occhio glauco entro l'austera Dolcezza si rispecchia ampio e quieto Il divino del pian silenzio verde.
Maggio risveglia i nidi, maggio risveglia i cuori; porta le ortiche e i fiori, i serpi e l'usignol. Schiamazzano i fanciulli in terra, e in ciel li augelli: le donne han ne i capelli rose, ne gli occhi il sol. Tra colli prati e monti di fior tutto č una trama: canta germoglia ed ama l'acqua la terra il ciel. E a me germoglia in cuore di spine un bel boschetto; tre vipere ho nel petto e un gufo entro il cervel.
Lą in Maremma ove fiorio la mia triste primavera, lą rivola il pensier mio con i tuoni e la bufera: lą nel cielo librarmi la mia patria a riguardar, poi co'l tuon vņ sprofondarmi tra quei colli ed in quel mar.
L'olmo e la verde sposa Vedi in florido amplesso accolti e stretti: Vedi a l'ilice annosa Attorcersi i corimbi giovinetti. Deh! Se del roseo braccio Cosķ, bianca Neera, m'avvincessi, E tra'l soave laccio Il capo stanco io nel tuo sen ponessi, Un lungo amore insieme Giugnendo l'alme ognor, dolcezza mia, Non altra gioia o speme, Non altro a desiar lo spirto avria. Non me non me dal fiore Del caro labbro, fin di tutte brame, Svegliar potria sopore, Non cura di lieo, non dura fame. Allor noi senza duolo Il fato colga; innamorati spirti Noi tragga un legno solo, Pallido Dite, ą suoi secreti mirti. Di ciel che mai non verna La ferma ivi berremmo aura sincera, Sotto i pič nostri eterna Rinascendo cņ fior la primavera. In tra i nobili eroi Ivi ą ben nati amor vivono ognora L'eroine onde a noi Mormora un suon d'esigua fama ancora, E menan danze, e alterni Canti giungono al suon d'alterna lira; E sł germogli eterni Zefiro senza mutamento spira. Scherza con l'ōra incerta Di lauri un bosco; de le aulenti frondi Sotto l'ombra conserta Ridon le rose ed i giacinti biondi. A l'ombre pie d'intorno, Non da rigidi imperi esercitato, Sotto il purpureo giorno Germina splende e olezza il suol beato. Solinga ombra amorosa Ivi oblia Saffo la leucadia pietra, E pur languida posa La tenue fronte su la dotta cetra. Siede Tibullo a l'ombra Ove docil dą colli un rio declina; E di dolcezza ingombra I sacri elisii l'armonia latina. E noi, Neera, il canto Dč morti udrem; noi sederem trą fiori De l'asfodelo. Intanto Mesciamo i dolci e fuggitivi amori.
Sette paia di scarpe ho consumate Di tutto ferro per te ritrovare, Sette verghe di ferro ho logorate per appoggiarmi nel fatale andare, Sette fiasche di lacrime ho colmate Sette lunghi anni di lacrime amare: Tu dormi alle mie grida disperate, Il gallo canta e non ti vuoi svegliare.