Le migliori poesie di Giosuè Carducci

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Scritta da: Silvana Stremiz

Pianto antico

L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
Da' bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.
Giosuè Carducci
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    San Martino

    La nebbia agli irti colli
    Piovigginando sale,
    E sotto il maestrale
    urla e biancheggia il mar;
    Ma per le vie del borgo
    Dal ribollir dè tini
    Va l'aspro odor de i vini
    L'anime a rallegrar.
    Gira sù ceppi accesi
    Lo spiedo scoppiettando:
    Sta il cacciator fischiando
    Su l'uscio a rimirar
    Tra le rossastre nubi
    Stormi d'uccelli neri,
    Com'esuli pensieri,
    Nel vespero migrar.
    Giosuè Carducci
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Davanti a San Guido

      I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
      Van da San Guido in duplice filar,
      Quasi in corsa giganti giovinetti
      Mi balzarono incontro e mi guardar.
      Mi riconobbero, e - Ben torni omai -
      Bisbigliaron vèr'me co 'l capo chino -
      Perché non scendi? Perché non ristai ?
      Fresca è la sera e a te noto il cammino.
      Oh sièditi a le nostre ombre odorate
      Ove soffia dal mare il maestrale:
      Ira non ti serbiam de le sassate
      Tue d'una volta: oh non facean già male!
      Nidi portiamo ancor di rusignoli:
      Deh perché fuggi rapido cosí ?
      Le passere la sera intreccian voli
      A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! -
      - Bei cipressetti, cipressetti miei,
      Fedeli amici d'un tempo migliore,
      Oh di che cuor con voi mi resterei -
      Guardando lor rispondeva - oh di che cuore !
      Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
      Or non è piú quel tempo e quell'età.
      Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
      Ma oggi sono una celebrità.
      E so legger di greco e di latino,
      E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
      Non son piú, cipressetti, un birichino,
      E sassi in specie non ne tiro piú.
      E massime a le piante. - Un mormorio
      Pè dubitanti vertici ondeggiò
      E il dí cadente con un ghigno pio
      Tra i verdi cupi roseo brillò.
      Intesi allora che i cipressi e il sole
      Una gentil pietade avean di me,
      E presto il mormorio si fè parole:
      - Ben lo sappiamo: un pover uom tu sè.
      Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
      Che rapisce de gli uomini i sospir,
      Come dentro al tuo petto eterne risse
      Ardon che tu né sai né puoi lenir.
      A le querce ed a noi qui puoi contare
      L'umana tua tristezza e il vostro duol.
      Vedi come pacato e azzurro è il mare,
      Come ridente a lui discende il sol!
      E come questo occaso è pien di voli,
      Com'è allegro dè passeri il garrire!
      A notte canteranno i rusignoli:
      Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
      I rei fantasmi che dà fondi neri
      De i cuor vostri battuti dal pensier
      Guizzan come da i vostri cimiteri
      Putride fiamme innanzi al passegger.
      Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
      Che de le grandi querce a l'ombra stan
      Ammusando i cavalli e intorno intorno
      Tutto è silenzio ne l'ardente pian,
      Ti canteremo noi cipressi i cori
      Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
      Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
      Te ventilando co 'l lor bianco velo;
      E Pan l'eterno che su l'erme alture
      A quell'ora e ne i pian solingo va
      Il dissidio, o mortal, de le tue cure
      Ne la diva armonia sommergerà. -
      Ed io - Lontano, oltre Apennin, m'aspetta
      La Tittí - rispondea; - lasciatem'ire.
      È la Tittí come una passeretta,
      Ma non ha penne per il suo vestire.
      E mangia altro che bacche di cipresso;
      Né io sono per anche un manzoniano
      Che tiri quattro paghe per il lesso.
      Addio, cipressi! Addio, dolce mio piano! -
      - Che vuoi che diciam dunque al cimitero
      Dove la nonna tua sepolta sta? -
      E fuggíano, e pareano un corteo nero
      Che brontolando in fretta in fretta va.
      Di cima al poggio allor, dal cimitero,
      Giú dè cipressi per la verde via,
      Alta, solenne, vestita di nero
      Parvemi riveder nonna Lucia:
      La signora Lucia, da la cui bocca,
      Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
      La favella toscana, ch'è sí sciocca
      Nel manzonismo de gli stenterelli,
      Canora discendea, co 'l mesto accento
      De la Versilia che nel cuor mi sta,
      Come da un sirventese del trecento,
      Piena di forza e di soavità.
      O nonna, o nonna! Deh com'era bella
      Quand'ero bimbo! Ditemela ancor,
      Ditela a quest'uom savio la novella
      Di lei che cerca il suo perduto amor!
      – Sette paia di scarpe ho consumate
      Di tutto ferro per te ritrovare:
      Sette verghe di ferro ho logorate
      Per appoggiarmi nel fatale andare:
      Sette fiasche di lacrime ho colmate,
      Sette lunghi anni, di lacrime amare:
      Tu dormi a le mie grida disperate,
      E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
      - Deh come bella, o nonna, e come vera
      È la novella ancor! Proprio cosí.
      E quello che cercai mattina e sera
      Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
      Sotto questi cipressi, ove non spero,
      Ove non penso di posarmi piú:
      Forse, nonna, è nel vostro cimitero
      Tra quegli altri cipressi ermo là su.
      Ansimando fuggía la vaporiera
      Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore;
      E di polledri una leggiadra schiera
      Annitrendo correa lieta al rumore.
      Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
      Rosso e turchino, non si scomodò:
      Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
      E a brucar serio e lento seguitò.
      Giosuè Carducci
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Preludio

        Odio l'usata poesia: concede
        comoda al vulgo i flosci fianchi e senza
        palpiti sotto i consueti amplessi
        stendesi e dorme.
        A me la strofe vigile, balzante
        co 'l plauso e 'l piede ritmico nè cori:
        per l'ala a volo io còlgola, si volge
        ella e repugna. Tal fra le strette d'amator silvano
        torcesi un'evia su 'l nevoso Edone:
        più belli i vezzi del fiorente petto
        saltan compressi,
        e baci e strilli su l'accesa bocca
        mesconsi: ride la marmorea fronte
        al sole, effuse in lunga onda le chiome
        fremono à venti.
        Giosuè Carducci
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il bove

          T'amo pio bove; e mite un sentimento
          Di vigore e di pace al cor m'infondi,
          O che solenne come un monumento
          Tu guardi i campi liberi e fecondi,
          O che al giogo inchinandoti contento
          L'agil opra de l'uom grave secondi:
          Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
          Giro dè pazienti occhi rispondi.
          E del grave occhio glauco entro l'austera
          Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
          Il divino del pian silenzio verde.
          Giosuè Carducci
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            Maggiolata

            Maggio risveglia i nidi,
            maggio risveglia i cuori;
            porta le ortiche e i fiori,
            i serpi e l'usignol.
            Schiamazzano i fanciulli
            in terra, e in ciel li augelli:
            le donne han ne i capelli
            rose, ne gli occhi il sol.
            Tra colli prati e monti
            di fior tutto è una trama:
            canta germoglia ed ama
            l'acqua la terra il ciel.
            E a me germoglia in cuore
            di spine un bel boschetto;
            tre vipere ho nel petto
            e un gufo entro il cervel.
            Giosuè Carducci
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              Scritta da: Blu Finch

              A Neera

              L'olmo e la verde sposa
              Vedi in florido amplesso accolti e stretti:
              Vedi a l'ilice annosa
              Attorcersi i corimbi giovinetti.
              Deh! Se del roseo braccio
              Cosí, bianca Neera, m'avvincessi,
              E tra'l soave laccio
              Il capo stanco io nel tuo sen ponessi,
              Un lungo amore insieme
              Giugnendo l'alme ognor, dolcezza mia,
              Non altra gioia o speme,
              Non altro a desiar lo spirto avria.
              Non me non me dal fiore
              Del caro labbro, fin di tutte brame,
              Svegliar potria sopore,
              Non cura di lieo, non dura fame.
              Allor noi senza duolo
              Il fato colga; innamorati spirti
              Noi tragga un legno solo,
              Pallido Dite, à suoi secreti mirti.
              Di ciel che mai non verna
              La ferma ivi berremmo aura sincera,
              Sotto i piè nostri eterna
              Rinascendo cò fior la primavera.
              In tra i nobili eroi
              Ivi à ben nati amor vivono ognora
              L'eroine onde a noi
              Mormora un suon d'esigua fama ancora,
              E menan danze, e alterni
              Canti giungono al suon d'alterna lira;
              E sù germogli eterni
              Zefiro senza mutamento spira.
              Scherza con l'ôra incerta
              Di lauri un bosco; de le aulenti frondi
              Sotto l'ombra conserta
              Ridon le rose ed i giacinti biondi.
              A l'ombre pie d'intorno,
              Non da rigidi imperi esercitato,
              Sotto il purpureo giorno
              Germina splende e olezza il suol beato.
              Solinga ombra amorosa
              Ivi oblia Saffo la leucadia pietra,
              E pur languida posa
              La tenue fronte su la dotta cetra.
              Siede Tibullo a l'ombra
              Ove docil dà colli un rio declina;
              E di dolcezza ingombra
              I sacri elisii l'armonia latina.
              E noi, Neera, il canto
              Dè morti udrem; noi sederem trà fiori
              De l'asfodelo. Intanto
              Mesciamo i dolci e fuggitivi amori.
              Giosuè Carducci
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