Vorrei vivere il tuo spazio occuparlo come una cupola occupa il suo. Vorrei farti occupare il mio spazio come una cupola occupa il suo. Vorrei reggerti come un pilastro, farmi reggere da te come unico pilastro della mia vita. Vorrei annusare l'odore delle rose come unico profumo della mia vita come te quando cammini nel giardino. Vorrei vivere il respiro del tuo tempo vorrei che tu respirassi il mio tempo. Vorrei vivere il tuo dolore non farti vivere il mio. Vorrei diventare erba neve brina spiga di grano al tuo passaggio, sapore di fragola e ciliegia al tuo palato. Vorrei vivere con te sotto un arco senza meridiana e senza bussola, in una bolla che il vento allontana all'orizzonte.
M'innamoro del filo d'acqua che dalla cannella bagna l'asciutto del catino abbandonato e della ragnatela del mattino imperlata di rugiada, della nota alta che si strozza in gola, della debolezza dell'innamorato che bacia il respiro dell'amata addormentata, dello sbadiglio di chi non ha dormito, del tuono che romba, del lampo che ruba un attimo di luce, del bambino e della donna sfregiati che alla prepotenza della storia pagano il conto più salato, del cane che al mattino sotto la finestra mi saluta con l'abbaio, del gatto che per dispetto non mi fa le fusa, di una mano che s'allunga che ho voglia di stringere perché è nera, di un volto scuro pieno di paura, della parola usurata a volte male usata. M'innamoro di una lista che non è finita, perché s'allunga per quanto è immenso il dono di una vita.
Tatuerò sulla mia pelle la mappa del tuo imperscrutabile mondo. Tu sei arrivata sull'alito di un vento furioso, hai creato vuoti. I vuoti non colmi son rimasti intatti, non scalfiti da grigi temporali. Ti cerco nell'urlo di Munch che mi scuote, nel nido custode di pensieri, nel canto di sirene che s'esala, nella nota che vibra sulla foglia, nei millantati echi dell'abisso, nello scalpo di barca abbandonata, nelle ossa di seppie scolorite, nella goccia che scava la sua roccia, nel salice che piange a mezza sera, nell'onda che cavalca la chimera. Ti cerco ancora nella notte: vigile è la luna. Ti cerco nelle vie tortuose della nebbia, nell'ombra del filo che rapisce il sole, nel sole che ripaga ogni incertezza. Ti cerco ancora.
Zebrata la bianca neve sulle cime aguzze annuncia presagi che nel sogno vedono nuvole all'orizzonte vanificare il costante desiderio, in un'attesa che non ha recinti. Assente è la parola che tampona, a volte sanguina, non concede tregua a chi affannoso arranca, cerca il respiro. Squarcia urli, rompe il buio della notte il mio amore ferito, viòla è la pelle che l'avvolge. Tu non hai più lacrime, il mare presta lacrime ai tuoi occhi, l'intonaco del muro si sfarina, lieve una mano sfiora il tuo voto, s'impiglia nei capelli.
Dopo tante lune ricordati di me. I tuoi passi silenti albeggiano nell'eco dell'ombra, la mano tesa ricongiunge oblii. Ora che la terra nutre sentimenti, i fiori del mandorlo profumano l'aria e le labbra tremano, riposo nell'alveo dell'infinito pensiero dei tuoi desideri. Dopo tanti emisferi argentei mi ricorderò di te.