Sì, al di là della gente ti cerco. Non nel tuo nome, se lo dicono, non nella tua immagine, se la dipingono. Al di là, più in là, più oltre.
Al di là di te ti cerco Non nel tuo specchio e nella tua scrittura, nella tua anima nemmeno. Di là, più oltre.
Al di là, ancora, più oltre di me ti cerco. Non sei ciò che io sento di te. Non sei ciò che mi sta palpitando con sangue mio nelle vene, e non è me. Al di là, più oltre ti cerco.
E per trovarti, cessare di vivere in te, e in me, e negli altri. Vivere ormai di là da tutto, sull'altra sponda di tutto - per trovarti - come fosse morire..
Non importa che non ti abbia, non importa che non ti veda. Prima ti abbracciavo, prima ti guardavo, ti cercavo tutta, ti desideravo intera. Oggi non chiedo più né alle mani, né agli occhi, le ultime prove. Di starmi accanto ti chiedevo prima, sì, vicino a me, sì, sì, però lì fuori. E mi accontentavo di sentire che le tue mani mi davano le tue mani, che ai miei occhi assicuravano presenza. Quello che ti chiedo adesso è di più, molto di più, che bacio o sguardo: è che tu stia più vicina a me, dentro. Come il vento è invisibile, pur dando la sua vita alla candela. Come la luce è quieta, fissa, immobile, fungendo da centro che non vacilla mai al tremulo corpo di fiamma che trema. Come è la stella, presente e sicura, senza voce e senza tatto, nel cuore aperto, sereno, del lago. Quello che ti chiedo è solo che tu sia anima della mia anima, sangue del mio sangue dentro le vene. Che tu stia in me come il cuore mio che mai vedrò, toccherò e i cui battiti non si stancano mai di darmi la mia vita fino a quando morirò. Come lo scheletro, il segreto profondo del mio essere, che solo mi vedrà la terra, però che in vita è quello che si incarica di sostenere il mio peso, di carne e di sogno, di gioia e di dolore misteriosamente senza che ci siano occhi che mai lo vedano. Quello che ti chiedo è che la corporea passeggera assenza, non sia per noi dimenticanza, né fuga, né mancanza: ma che sia per me possessione totale dell'anima lontana, eterna presenza.
Non ho bisogno di tempo per sapere chi sei: conoscersi è luce improvvisa. Chi ti potrà conoscere là dove taci, o nelle parole con cui tu taci? Chi ti cerchi nella vita che stai vivendo, non sa di te che allusioni, pretesti in cui ti nascondi. E seguirti all'indietro in ciò che hai fatto, prima, sommare azioni a sorriso, anni a nomi, sarà come perderti. Io no. Ti ho conosciuto nella tempesta. Ti ho conosciuto, improvvisa, in quello squarcio brutale di tenebra e luce, dove si rivela il fondo che sfugge al giorno e alla notte. Ti ho visto, mi hai visto, ed ora, nuda ormai dell'equivoco, della storia, del passato, tu, amazzone sulla folgore, palpitante di recente ed inatteso arrivo, sei così anticamente mia, da tanto tempo ti conosco, che nel tuo amore chiudo gli occhi, e procedo senza errare, alla cieca, senza chiedere nulla a quella luce lenta e sicura con cui si riconoscono lettere e forme e si fanno conti e si crede di vedere chi tu sia, o mia invisibile.
Il modo tuo d'amare è lasciare che io ti ami. Il sì con cui ti abbandoni è il silenzio. I tuoi baci sono offrirmi le labbra perché io le baci. Mai parole o abbracci mi diranno che esistevi e mi hai amato: mai. Me lo dicono fogli bianchi, mappe, telefoni, presagi; tu, no. E sto abbracciato a te senza chiederti nulla, per timore che non sia vero che tu vivi e mi ami. E sto abbracciato a te senza guardare e senza toccarti. Non debba mai scoprire con domande, con carezze, quella solitudine immensa d'amarti solo io.
Se mi chiamassi, sì, se mi chiamassi. Io lascerei tutto, tutto io getterei: i prezzi, i cataloghi, l'azzurro dell'oceano sulle carte, i giorni e le loro notti, i telegrammi vecchi ed un amore. Tu, che non sei il mio amore, se mi chiamassi! E ancora attendo la tua voce: giù per i telescopi, dalla stella, attraverso specchi e gallerie ed anni bisestili può venire. Non so da dove. Dal prodigio, sempre. Perché se tu mi chiami - se mi chiamassi, sì, se mi chiamassi - sarà da un miracolo, ignoto, senza vederlo.
Mai dalle labbra che ti bacio, mai dalla voce che dice: non te ne andare.
A te si arriva solo attraverso te. Ti aspetto. Io sì che so dove mi trovo, la mia città, la via, il nome con cui tutto mi chiamano. Però non so dove sono stato con te. Là mi hai portato tu. Come avrei imparato la strada se non guardavo nient'altro che te, se la strada era dove tu andavi, e la fine fu quando ti sei fermata? Che altro poteva esserci più di te che ti offrivi, guardandomi? Però adesso che esilio, che mancanza, e lo stare dove si sta. Aspetto, passano i treni, i destini, gli sguardi. Mi porterebbero dove non sono stato mai. Ma io non cerco nuovi cieli. Io voglio stare dove sono stato. Con te, ritornarci. Che intensa novità, ritornare un'altra volta, ripetere mai uguale quello stupore infinito. E fino a quando non verrai tu io resterò sulla sponda dei voli, dei sogni, delle stelle, immobile. Perché so che dove sono stato non portano né ali, né ruote, né vele. Esse vagano smarrite. Perché so che dove sono stato con te si va solo con te, attraverso te.
Sì, al di là della gente ti cerco. Non nel tuo nome, se lo dicono, non nella tua immagine, se la dipingono. Al di là, più in là, più oltre.
Al di là di te ti cerco Non nel tuo specchio e nella tua scrittura, nella tua anima nemmeno. Di là, più oltre.
Al di là, ancora, più oltre di me ti cerco. Non sei ciò che io sento di te. Non sei ciò che mi sta palpitando con sangue mio nelle vene, e non è me. Al di là, più oltre ti cerco.
E per trovarti, cessare di vivere in te, e in me, e negli altri. Vivere ormai di là da tutto, sull'altra sponda di tutto - per trovarti - come fosse morire.
Io non posso Io non posso darti di più Non sono più di quello che sono. Ah come vorrei essere sabbia, sole in estate! Che ti sdraiassi rilassata a rilassarti. Che mi lasciassi il tuo corpo quando te ne vai, orma, tenera, tiepida, indimenticabile. E che con te se ne andasse su di te, il mio bacio lento: colore, dalla testa ai piedi bruno. Ah come vorrei essere vetro, o stoffa o legno che conserva il suo colore qui, il suo profumo qui, e nacque a tremila chilometri! Essere la materia che ti piace, che tocchi tutti i giorni e che vedi già senza guardare vicino a te, le cose collana, boccetta, seta antica di cui, quando senti la mancanza chiedi: "Ah! Dov'è?" A come vorrei essere un'allegria fra tutte, una sola, l'allegria di cui ti rallegri tu! Un amore, un amore solo: l'amore di cui tu ti innamoreresti.
Tu vivi sempre nei tuoi atti. Con la punta delle dita sfiori il mondo, gli strappi aurore, trionfi, colori, allegrie: è la tua musica. La vita è ciò che tu suoni.
Dai tuoi occhi solamente emana la luce che guida i tuoi passi. Cammini fra ciò che vedi. Soltanto.
E se un dubbio ti fa cenno a diecimila chilometri, abbandoni tutto, ti lanci su prore, su ali, sei subito lì; con i baci, coi denti lo laceri: non è più dubbio. Tu mai puoi dubitare.
Perché tu hai capovolto i misteri. E i tuoi enigmi, ciò che mai potrai capire, sono le cose più chiare: la sabbia dove ti stendi, il battito del tuo orologio e il tenero corpo rosato che nel tuo specchio ritrovi ogni giorno al risveglio, ed è il tuo. I prodigi che sono già decifrati.
E mai ti sei sbagliata, solo una volta, una notte che t'invaghisti di un'ombra -l'unica che ti è piaciuta- un'ombra pareva. E volesti abbracciarla. Ed ero io.
Non voglio che ti allontani, dolore, ultima forma di amare. Io mi sento vivere quando tu mi fai male non in te, né qui, più oltre: sulla terra, nell'anno da dove vieni nell'amore con lei e tutto ciò che fu. In quella realtà sommersa che nega se stessa ed ostinatamente afferma di non essere esistita mai, d'essere stata nient'altro che un mio pretesto per vivere. Se tu non mi restassi, dolore, irrefutabile, io potrei anche crederlo; ma mi rimani tu. La tua verità mi assicura che niente fu menzogna. E fino a quando ti potrò sentire, sarai per me, dolore, la prova di un'altra vita in cui non mi dolevi. La grande prova, lontano, che è esistita, che esiste, che mi ha amato, sì, che la sto amando ancora.