Come una fenice suicida che si smorza e non risorge, così io mi ero accasciata. Il sentimento maltrattato aveva fatto propria in me la fragilità di un albero di cenere. Poi tu, acino di zucchero incendiato, insabbiato tra i grani non ancora caduti di quella mia clessidra sbeccata. Se ora il costato mi trabocca di argento e caramello è solo ad opera della tua incandescenza.
Coglimi come una frustata sulle labbra, a tradimento e ruggendo d'ingordigia. Imboccami di cioccolato acerbo, amaro, ma poi assolvimi con arancia candita e cannella. Sul cuscino gianduia e fondente spezzati in un ribelle mosaico di cubi scomposti, anarchia guerrafondaia del proibito. Intingi le dita nella polvere dolce e brunita per dipingermi le labbra di mogano, in questa caccia insonne la preda ambita è una brace elettrica di voluttà. L'alba forza le imposte ed inciampa nei nostri peccaminosi ruderi di delizia: riccioli di cacao e profumo di rossetto.