Le temple enseveli divulgue par la bouche Sépulcrale d'égout bavant boue et rubis Abominablement quelque idole Anubis Tout le museau flambè comme un aboi farouche
Ou que le gaz récent torde la mèche louche Essuyeuse on le sait des opprobres subis Il allume hagard un immortel pubis Dont le vol selon le réverbère découche
Quel feuillage séché dans les cités sans soir Votif pourra bénir comme elle se rasseoir Contre le marbre vainement de Baudelaire
Au voile qui la ceint absente avec frissons Celle son Ombre même un poison tutélaire Toujours à respirer si nous en périssons.
Come è triste la carne... E ho letto tutti i libri! Fuggire! Laggiù fuggire! Ho udito il canto degli uccelli ebbri tra l'ignota schiuma e i cieli. Nulla, neppure gli antichi giardini riflessi negli occhi, Potrà Trattenere il mio cuore che si immerge nel mare. O notti! Neppure il deserto chiarore della mia lampada Sul foglio ancora intatto, difeso dal suo chiarore, E neppure la giovane donna che nutre il suo bambino. Partirò! Nave che culli le tue vele Leva l'ancora verso un'esotica natura! Una Noia crede ancora, desolata da speranze crudeli, ai fazzoletti agitati nell'ultimo addio. E forse gli alberi che attirano la tempesta il vento farà inclinare sui naufragi Perduti, senz'alberi, lontani da fertili isole... Ma ascolta, mio cuore mio, il canto dei marinai!
Ti reco questo figlio d'una notte idumea! Nera, spiumata, pallido sangue all'ala febea, Pel vetro che d'aromi fiammeggianti si dora, Per le finestre, ahimé ghiacciate e fosche ancora, L'aurora si gettò sulla lampada angelica. Palme! E quando mostrò essa quella reliquia Al padre che nemico un sorriso tentò, L'azzurra solitudine inutile tremò. O tu che culli, con la bimba e l'innocenza Dei vostri piedi freddi, accogli quest'orrenda Nascita: ed evocando clavicembalo e viola, Premerai tu col vizzo dito il seno che cola La donna in sibillina bianchezza per la bocca Dall'azzurro affamata, dall'alta aria non tocca?
Del sempiterno azzurro la serena ironia Perséguita, indolente e bella come i fiori, Il poeta impotente di genio e di follia Attraverso un deserto sterile di Dolori.
Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta Intensamente, come un rimorso atterrante, L'anima vuota. Dove fuggire? E quale cupa Notte gettare a brani sul suo spregio straziante?
Nebbie, salite! Ceneri e monotoni veli Versate, ad annegare questi autunni fangosi, Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli Ed alzate soffitti immensi e silenziosi!
E tu, esci dai morti stagni letei e porta Con te la verde melma e i pallidi canneti, Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli.
Ed ancora! Che senza sosta i tristi camini Fùmino, e di caligine una prigione errante Estingua nell'orrore dei suoi neri confini Il sole ormai morente giallastro all'orizzonte!
-Il cielo è morto. - A te, materia, accorro! Dammi L'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato: Questo martire viene a divider lo strame Dove il gregge degli uomini felice è coricato.
Io voglio, poiché infine il mio cervello, vuoto Come il vaso d'unguento gettato lungo il muro, Più non sa agghindare il pensiero stentato, Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro…
Invano! Ecco trionfa l'Azzurro nella gloria Delle campane. Anima, ecco, voce diventa Per più farci paura con malvagia vittoria, Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente!
Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa La tua agonia nativa, come un gladio sicuro: Dove andare, in rivolta inutile e perversa? Mia ossessione. Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!
L'esangue primavera già tristemente esilia L'inverno, tempo lucido, tempo d'arte serena, E in me, dove un oscuro sangue colma ogni vena, L'impotenza si stira ed a lungo sbadiglia. Crepuscoli s'imbiancano tiepidi nella mente Che come vecchia tomba serra un cerchio di ferro, Ed inseguendo un sogno vago e bello, io erro Pei campi ove la linfa esulta immensamente. Poi procombo snervato di silvestri sentori, E scavando al mio sogno una fossa col viso, Mordendo il suolo caldo dove, sbocciano i fiori, Attendo nell'abisso che il tedio s'alzi... Oh riso Intanto dell'Azzurro sulla siepe e sui voli Degli uccelli ridesti che cinguettano al sole!
Stanco dell'ozio amaro in cui la mia pigrizia Offende quella gloria per cui fuggii l'infanzia Dolcissima dei boschi di rose nell'azzurro Naturale, e più ancora stanco del patto duro Di scavare vegliando un rinnovato avello Dentro l'avaro e freddo suolo del mio cervello, Per la sterilità spietato affossatore, - Che mai dirò, o Sogni, che mai a quest'Aurora, Visitato da rose, se, temendo i suoi fiori Lividi, il cimitero unirà i cavi orrori? - Voglio lasciare l'Arte vorace di un paese Crudele, e, sorridendo ai vecchi volti offesi Che mostrano gli amici, il genio ed il passato, E il lume che la mia agonia ha vegliato, Imitare il Cinese, anima chiara e fina, La cui estasi pura è dipinger la cima Sopra tazze di neve rapita dalla luna D'un fiore strano che la sua vita profuma Trasparente, d'un fiore che egli sentì fanciullo Innestarsi al suo cuore prezioso, azzurro nulla. E la morte così, solo sogno del saggio, Sereno, sceglierò un giovane paesaggio Che sulle tazze assente la mia mano pingerà. Una linea d'azzurro fine e tenue sarà Un lago dentro il cielo di nuda porcellana, Per una bianca nube una luna lontana Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme, Presso tre grandi cigli di smeraldo, le canne.
Nulla, una schiuma, vergine verso solo a indicare la coppa; così al largo si tuffa una frotta di sirene, taluna riversa. Noi navighiamo, o miei diversi amici, io di già sulla poppa voi sulla prora fastosa che fende il flutto di lampi e d'inverni; una bella ebbrezza mi spinge né temo il suo beccheggiare in piedi a far questo brindisi solitudine, stella, scogliera a tutto quello che valse il bianco affanno della nostra vela.
Quasi usando per sua parola Null'altro che un battito al cielo, Il futuro verso s'invola Dall'avorio che in sé lo cela. Ala piano corra all'orecchio Questo ventaglio se esso è Quello per cui qualche specchio Risplendette dietro di te Chiaro (dove ritorna a scendere Inseguita in ogni frammento Un po' d'invisibile cenere Unica a rendermi lamento) Ed appaia uguale domani Tra quelle tue agili mani.
Occhi, laghi alla sola mia ebbrezza di rinascere Altro dall'istrione che col gesto ridesta Come piuma di lampade ignobili la cenere, Ho bucato nel muro di tela una finestra.
Nuotando traditore con gambe e braccia sciolte, A molteplici balzi, rinnegando nell'onda Il falso Amleto! È come se mille e mille volte Per vergine sparirvi innovassi una tomba.
Ilare oro di cembalo che una mano irritò Il sole tocca a un tratto la pura nudità Che dalla mia freschezza di perla io esalai,
Rancida nera pelle quando su me è passata, Ch'era tutto il mio crisma io ignorato, ingrato!, Quel trucco dentro l'acqua perfida dei ghiacciai.