Scritta da: Silvana Stremiz

Il Cavallino

O bel clivo fiorito Cavallino
ch'io varcai cò leggiadri eguali a schiera
al mio bel tempo; chi sa dir se l'era
d'olmo la tua parlante ombra o di pino?
Era busso ricciuto o biancospino,
da cui dorata trasparia la sera?
C'è un campanile tra una selva nera,
che canta, bianco, l'inno mattutino?
Non so: ché quando a te s'appressa il vano
desìo, per entro il cielo fuggitivo
te vedo incerta vision fluire.
So ch'or sembri il paese allor lontano
lontano, che dal tuo fiorito clivo
io rimirai nel limpido avvenire.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Allora

    Allora... in un tempo assai lunge
    felice fui molto; non ora:
    ma quanta dolcezza mi giunge
    da tanta dolcezza d'allora!
    Quell'anno! Per anni che poi
    fuggirono, che fuggiranno,
    non puoi, mio pensiero, non puoi,
    portare con te, che quell'anno!
    Un giorno fu quello, ch'è senza
    compagno, ch'è senza ritorno;
    la vita fu vana parvenza
    sì prima sì dopo quel giorno!
    Un punto!... così passeggero,
    che in vero passò non raggiunto,
    ma bello così, che molto ero
    felice, felice, quel punto!
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Il Bosco

      O vecchio bosco pieno d'albatrelli,
      che sai di funghi e spiri la malìa,
      cui tutto io già scampanellare udìa
      di cicale invisibili e d'uccelli:
      in te vivono i fauni ridarelli
      ch'hanno le sussurranti aure in balìa;
      vive la ninfa, e i passi lenti spia,
      bionda tra le interrotte ombre i capelli.
      Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia
      or sì or no, che se il desìo le vinca,
      l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia.
      Dileguano; e pur viva è la boscaglia,
      viva sempre nè fior della pervinca
      e nelle grandi ciocche dell'acacia.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il Cane

        Noi mentre il mondo va per la sua strada,
        noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
        e perché vada, e perché lento vada.
        Tal, quando passa il grave carro avanti
        del casolare, che il rozzon normanno
        stampa il suolo con zoccoli sonanti,
        sbuca il can dalla fratta, come il vento;
        lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia.
        Il carro è dilungato lento lento.
        Il cane torna sternutando all'aia.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il Nunzio

          Un murmure, un rombo...
          Son solo: ho la testa
          confusa di tetri
          pensieri. Mi desta
          quel murmure ai vetri.
          Che brontoli, o bombo?
          Che nuove mi porti?
          E cadono l'ore
          giù giù, con un lento
          gocciare. Nel cuore
          lontane risento
          parole di morti...
          Che brontoli, o bombo?
          Che avviene nel mondo?
          Silenzio infinito.
          Ma insiste profondo,
          solingo smarrito,
          quel lugubre rombo.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Sera Festiva

            O mamma, o mammina, hai stirato
            la nuova camicia di lino?
            Non c'era laggiù tra il bucato,
            sul bossolo o sul biancospino.
            Su gli occhi tu tieni le mani...
            Perché? Non lo sai che domani...?
            din don dan, din don dan.
            Si parlano i bianchi villaggi
            cantando in un lume di rosa:
            dell'ombra dè monti selvaggi
            si sente una romba festosa.
            Tu tieni a gli orecchi le mani...
            tu piangi; ed è festa domani...
            din don dan, din don dan.
            Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve...
            quanti anni ora sono? Una sera...
            il bimbo era freddo, di neve;
            il bimbo era bianco, di cera:
            allora sonò la campana
            (perché non pareva lontana? )
            din don dan, din don dan.
            Sonavano a festa, come ora,
            per l'angiolo; il nuovo angioletto
            nel cielo volava a quell'ora;
            ma tu lo volevi al tuo petto,
            con noi, nella piccola zana:
            gridavi; e lassù la campana...
            din don dan, din don dan.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Il cuore del cipresso

              O cipresso, che solo e nero stacchi
              dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
              irto di cardi e stridulo di biacchi:

              in te sovente, al tempo delle more,
              odono i bimbi un pispillìo secreto,
              come d'un nido che ti sogni in cuore.

              L'ultima cova. Tu canti sommesso
              mentre s'allunga l'ombra taciturna
              nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
              ella ricerchi tra què bronchi un'urna.

              Più brevi i giorni,
              e l'ombra ogni dì meno
              s'indugia e cerca, irrequieta, al sole;
              e il sole è freddo e pallido il sereno.

              L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra:
              nell'ombra ove le stelle errano sole.
              E il rovo arrossa e con le spine ingombra

              tutti i sentieri, e cadono già roggie
              le foglie intorno (indifferente oscilla
              l'ermo cipresso), e già le prime pioggie
              fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.

              E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte
              il vento e t'urta e ti percuote a lungo:
              tu sorgi, e resti; simile alla Morte.

              E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia
              l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
              di nebbia nera tra la grigia nebbia.

              E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
              la neve, muta a guisa del pensiero,
              cade. Tra il bianco e tacito franare
              tu stai, gigante immobilmente nero.
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