Dialogo con Guglielmo, amico prete e filosofo
Se non hai di che dargli da mangiare
non chiudere nel pollaio il cane
Ancora tanto ignoro in questo mondo
Però conosco il gallo che mi sveglia
E il topo che mi ruba tutti i giorni il grano
Certo lo lascio fare ma non sempre,
A volte è bello vederlo anche scappare
Conosco il vento e lo sento nelle piante respirare
E poi di notte osservo
I passi della volpe e del cinghiale
Per poi lasciarmi abbandonato andare sopra un prato
A far che sia la luna nuova a ritornarmi il seminato
Ignoro ancora tanto, per questo è mia attenzione
Pesare della vita il vivere in comune
Non in misero modo o per qual sia dolore
Cercando l'assoluto, lontano è il materiale
E nel cercare l'essere perfetto
Cioè colui che non può nuocere e non può creare male
Penso al falcone che per nutrirsi e per nutrir la prole
Costringe negli artigli il suo cibare
E pur la mucca, oziosa, lenta e svoglia
Non toglie anch'essa vita per mangiare?
Ed arrivando all'uomo, l'essere più innaturale
Che uccide addirittura per giocare
Che mondo strano è questo, dove i viventi
Non son costretti solo a respirare
A patir di stenti ed a goder di cose vane
Ma a togliere altra vita, peggio, a trasformarla,
In feci da evacuare
Partecipando alla carneficina di un banchetto nuziale
Dove chi vive si sposa con chi muore
E c'è sempre vita nuova da sacrificare
E non si venga a dire che è un passaggio, che il tutto è naturale
Ma un giuoco si, che non vorremmo fare
Proprio per questo mi rivolgo a Dio,
Come potrò mai entrare nel tuo cuore
Far parte del tuo "immenso amore"
Se mi costringi a procurar dolore
A nuocere e a partorire il male?
Se nasco ancora voglio aver le foglie
E come cibo solo cose morte
Ma forse ignoro che le piante anch'esse
Hanno degli altri vivi stessa sorte.
Composta sabato 16 giugno 2001
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