Incendi dolo(ro)si
Come membra protese ad abbracciar
l'umano, ovunque lo sguardo si voglia
posar; come respiro del cielo; come
essenza di preziosi tesori, i colori,
dono del giorno, riposo nella notte
fitta di oscuri sentieri. Son loro, le
piante, che ci conducon lontano e ci
porgon le generose fronde, col fiato
che danno. Ecco che sono, e più non
ci sono, e restan, dei rami nodosi e
sinuosi e annosi, neri e scheletrici
carboni, usciti dalle fiamme stringenti
feroci; così, mentre schioccava forte il
dolore, la linfa esalava nel cielo
spettrale. E fumo e demenza restavan
soltanto nell'aria acre e desolata di
struggente passione nel contemplar
il male di essere stolto. Allor, se si
vuole una natura brulla* (piromani),
la politica non sia grulla e i boschi
bruciati non sian ripiantati. In cento
anni ricresceranno, siccome tanto è
stato il danno, e quelli che han furia
aspetteranno. Alla natura lasciam
fare ed è questa la lezione e l'unica
che dobbiamo dare, per contrastar
le mire di chi rimane allor così: nel
sacco con le pive. Ma com'è amaro,
di questo, dire.
Composta venerdì 3 novembre 2017
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