Un antidoto alla noia
Torvo mi guardavi; non che
capissi cosa ruminavi,
di certo a me non pensavi
quando adirato mi
apostrofavi e poi cupo
attorno girellavi o impalato
stavi; aspettando che
muovessi i miei passì sì che,
ancor, con tal contento ti
racquietassi. Il contento che
nel frangente dar ti dovrei, è
la pazienza di accettarti come
sei; che se non ti amassi non
mi ci confonderei. Eppur se
tant'è mai saprai profittarti di
me perché son io ben più
forte di te, son io che ho la
tempra di un re. Sta, la mia
virtù, nel guardar alle cose
sempre col mento rivolto in su
(coraggiosamente, impavida)
per sdoganare i fetenti
brulicanti con le lor tribù (i vizi
come presunzione, egoismo,
cinismo...). La rumba salda
(risposte appropriate) e infin la
calma piatta son gli assi della
mia fedele servitù, pronta nel
castrar le mire di un ostinato
belzebù come a volte, vedi, appari
tu. Dunque, una bella stoccata,
inferta con punta arrotondata,
renderà la vita un po' più sapida,
e di certo più movimentata,
'sì come recita l'adagio che l'amore
non è bello se non è litigarello.
Purché ci sia sempre chi porge
il ramoscello (pace).
Composta mercoledì 27 giugno 2018
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