Lacché
Lo rossore assomiglia ad un bel fiore;
se lo coltivi, lo curi e l'hai nel cuore
dal gambo alla corolla resta splendore
e in ogni ora t'inebria del suo odore.
Ma se nol curi, lo strappi e lo calpesti
è qual morente dagli occhi spenti e pesti.
E se pure lo raccogli tutto quanto
mai riavrà la primiera bellezza del suo manto.
Così è l'uomo se decoro mantiene,
se saldo lo rossore sempre detiene;
ma se perde o oscura la sua faccia
è pari al verme che sguazza nella feccia.
E qui dire vorrei del topo di fogna
che nella melma vive e la vergogna;
ed è quell'uomo che col capo chino
striscia qual biscia mentre fa l'inchino.
È faccia porcina, aspetto orripilante,
nel letto dell'avverso trovasi d'amante
e sol per qualche chicco di lenticchia
tradisce la famiglia e la sua cerchia.
Pezzente! Fare poteva solo l'inserviente
ma lo portaro in cima: Ad assistente.
E pure se insuperbito dell'alto rango
la nostalgia lo rituffò nel fango...
Di limo in limo, ahimè, vaga strisciando
ed or questo padrone or quel servendo
ansimando ricerca lo caldo d'altro fuoco
ma ognuno lo manda altrove: In altro loco.
Stolto! Crede di fare dell'inciucio
e non s'accorge d'esser nato ciuccio.
Cerca di gareggiare con abili cervelli
ma è solamente il re degl'asinelli.
Assicurando va d'essere paladino
del cittadino e del suo destino.
Nemmanco fosse il Grande Napolitano
che nel costume è retto, integro, sano.
Invece, il vero chiodo ch'ha in mente
è rimanere lacché del presidente.
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