Tyrrenia
Granitici torrioni, a picco sovra il mare,
adusi a raccontar di leggendarie gesta
nell'aria ancora pregna delle memorie care
di questa nostra terra sì divenuta mesta.
E parlano le pietre nel fuoco dei meriggi
quando calura stimola il canto di cicale
e le scoscese dune disegnano miraggi
agli occhi allucinati del peregrin mortale.
Ed io, che vò ramingo per quei ventosi lidi,
ascolto antiche voci tra le ginestre e il mare,
e grida di gabbiani che levansi dai nidi
e volano radenti su scogli di calcare.
Ritornano alla mente i sogni mai sopiti,
spumosi come l'onda s'arenano alla riva,
e fissano negli occhi la giovinezza ardita
insieme alla canizia che irriguardosa arriva.
Rimiro quei tornanti salir sulle colline,
tagliar per le contrade e i pascoli bovini,
svanire come serpi tra il limitar dei pini
e poscia riapparir sugli assolati crini.
All'ora vespertina le vecchie poverelle
che sgranano rosari nel coro di una chiesa.
Avvinto dai sussulti è il cor delle zitelle
sedute fuori l'uscio in speranzosa attesa.
E scopro rami secchi agli angoli degli occhi
di contadini stanchi dalle rossicce gote
che tornano dai campi, in piedi sovra i cocchi,
fischiando allegre strofe e popolari note.
Io canto il mio Tirreno e la sofferta voce
di rustica progenie e marinara gente,
avvezza a sopportar silente la sua croce
ai piedi di castelli e dinastie potenti.
Son queste le mie terre, vissute con tormento,
all'ombra degli ulivi a rinnovar passioni,
quando l'amor gentile s'infila nella mente
ed il pensier di Lei ti toglie la ragione...
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