Stampa d'epoca
La cornice intarsiata di foglie dorate
nel legno robusto scurito dal tempo
custodiva la grande stampa d'epoca borbonica
pervenuta dai nonni materni sino a noi.
Un'illustrazione dai tipici colori grigi e neri
di varie intensità
pressati con perizia su cartoncino
un tempo bianco ed ora assai ingiallito
sotto il grande vetro che lo proteggeva al meglio.
Fissata al centro della parte principale
del camerone d'ingresso della casa
dava un che di importante a tutto il resto,
la parte alta sporgeva dal muro,
trattenuta in un punto da un canapo dorato
la base poggiata su due grandi ganci,
era stata sempre lì da quasi cento anni.
Alta da terra che per ammirarla
dovevo alzare lo sguardo sù al soffitto
e, per spolverarla, quando d'uso,
a zia Letizia occorreva di montar sul tavolo.
Una gran veduta dopo il terremoto
da un punto della rocca
lo sfondo di macerie desolanti,
cumuli di case accartocciate in ogni via,
chiese spezzate e campanili appesi;
in primo piano un cavaliere in gran pavese
avanza uno stuolo di gentiluomini
e guida un gran numero di servitori
con carri, arnesi, vanghe e casse
a portar soccorsi in ogni parte.
Sotto in caratteri istoriati il titolo
"16 settembre 1851: Ferdinando II,
Re di Borbone, sulle rovine di Melfi"
Il "Re bomba": così era chiamato dalla zia.
Ed io mi immaginai che fosse il "re ciccione"
giusta la ciccia che il cavaliere
si portava addosso sulla stampa.
Ma mio padre mi spiegò trattarsi
di un merito più grave e serio:
quel Re aveva sparso con le "bombe"
il sangue dei rivoluzionari a Napoli
a Palermo ed in Calabria,
senza fermarsi finché il popolo
si dimostrò più forte di lui,
ma continuò a chiamarlo il Re Bomba.
Negli anni della scuola appresi
sui libri un po' di storia e talvolta
mi tornava quella storia del Re Bomba.
Il terremoto terribile di Melfi del 1851,
la rapida ricostruzione della città
per merito del Re bomba,
i moti di Napoli, gli eroi di Sapri,
Carlo Pisacane,
la fine delle speranze mazziniane,
storie d'oppressione e decadenza paurose,
tutto in poco tempo, di corsa,
per merito di Re Bomba,
colpito in pieno petto e ferito
in Campo di Marte a Napoli
da una baionetta per mano
di un uomo del popolo,
Agesilao Milano, processato
e poi impiccato in Piazza dei Miracoli nel 1856.
Re Bomba non moriva subito
ma dopo tre anni di sofferenze,
forse per setticemia seguita alle ferite
o forse per obesità diceva il testo di storia.
Ecco, era proprio il "re ciccione"
che avevo immaginato da ragazzo!
Non cambiava niente, in ogni caso,
Re Bomba o re ciccione
era morto per mano del popolo
mio padre non poteva sbagliarsi.
Eppure quel re tiranno aveva provato
con le opere davvero
a conquistare le simpatie del popolo:
proprio sotto casa, a pochi metri,
passava la ferrovia Napoli - Portici,
la prima in Italia, un vero vanto,
per merito di Re bomba o re ciccione,
ma pure l'officina di Pietrarsa,
futuro e lavoro per operai,
tecnici, ingegneri e capi,
tutta gente che passava sotto i balconi,
tutti i giorni da oltre un secolo,
andavano a Pietrarsa per fabbricare
littorine e locomotive,
quelle vere che potevi trovare alle stazioni,
non quelle di latta che portava la befana,
per merito di Re Bomba o re ciccione,
quando aveva appena 29 anni.
E nella stampa di Melfi quanti anni aveva?
A quel tempo Re Bomba aveva 41 anni
qualche buona opera ancora da fare
per puntellare il traballante regno,
chissà quanti morti già ammazzati
e quanti ancora da sistemare
prima di finire da ciccione sulla strada
che portava al popolo sovrano.
Composta giovedì 24 gennaio 2013
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