Un canto a mia madre
Non ho mai capito
chi di noi due abbia
amato di più,
se io te o tu me,
so di averti guardato
sempre come a una stella
che batte la luce
nella cupola notturna del cielo,
e so di averti in cuor mio
amata a tal punto
che quasi a te somiglio
come una rosa
è simile a un'altra,
come la goccia cadendo
e gemella all'acqua.
Racchiuso in quest'inverno
e prigioniero alla tua rete
mentre la luna cantava
con la voce delle madri della terra,
tutti questi anni mi sentii
soffocare da un amore
troppo grande, e udii
l'anima vibrare.
Un tempo il tuo amore
forgiato nel grembo partorì
il suo frutto nelle gioia e nell'affanno,
dalle albe andate che ne fanno
più rosso il sangue
nelle epoche, col sacrificio le mani
più dure delle armi,
sempre penetrante nella scorza
della carne, negli abissi dell'anima
la tua presenza, sino a
a far saltare l'identicità
al proprio figlio, il legame antico,
l'urlo del tuo amore immortale.
O immensità di un prato, così
come un milione di rose fluttuanti
nel vento di una dea o visto
il tuo volto scintillare madre mia
nelle specchio del mio cuore,
nelle foglie della mia anima
solitaria, e dentro il petto
di nutrice bisbigliare parole
care come schegge di sole al mare,
come semi nella terra stracolma
nell'ultima pioggia autunnale.
Cade la sera, ed io dal mio
profondo venire al tuo sguardo
antico di bella cometa,
canto al cigno un bianco
verso notturno, canto senza più esitare
di averti amato di più, o Madre.
Dedicata a mia madre, Amaddio Antonia,
alba e tramonto di tutte le mie giornate
con amore infinito e gioia filiale.
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