Dall'oriente, all'agognar mio sovviene
Dall'oriente, all'agognar mio, sovviene
l'astro fiammeggiante,
scaturente riverbero nascente,
dalla vetta consenziente.
Malia d'una rinascita perpetua,
nell'eterno perpetrarsi d'un enigma.
Riflessi d'accecante albore rivestono l'aurora,
presagio ammaliator d'un nuovo dì,
foriera premessa d'anelati messaggi,
nello sperabile prodigio del risveglio mattutino.
Connubio con il sole,
ch'addentra il suo calor desiato,
nel colpir del raggio ammantato d'oro,
qual fosse incastro di monile.
Va a cercar l'anima, maestra d'occultarsi,
quando la mente percepisce d'esser spenta,
nell'ombra d'un'afflizione indegna d'esser viva.
Rigor di morte, ch'assale quando l'amor manca,
a solitudine, plausibile risposta.
Sottile filo conduttore, fluente d'energia,
che incombe, come un dio, nel penetrarmi,
del corpo e dell'inerte spirito, al fine d'appropriarsi,
cosicché cacciar gelo dentro e fuori.
Perenne ambir solar calore, ad irrorarmi il corpo,
ed a irraggiarmi l'anima depressa e vilipesa.
Similmente ad esso, vorrei calor di te,
lo vorrei seduta stante,
per evitare d'asserir ancora che mi manchi,
al mio intelletto e al cuore, ch'anelano quel sole.
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