Verso Itaca
Guardo il mare,
il suo confine immaginario
che segna un reale confine.
Lo guardo e scrivo ancora
ciò che ho già detto,
ciò che continuo a pensare.
Monotona la mia penna,
ripetitiva la mia visione...
Vorrei fuggire,
vorrei che quel lontano
fosse davvero vicino,
fosse tra le mie mani
invece che, ameno,
nel profondo dei miei occhi,
così da raggiungerlo a piedi svelti.
L'Ulisse bussa forte dal mio petto,
pretende che continui,
che amplifichi il suo viaggio:
è la coscienza folle di ogni uomo
schiavo di se stesso,
di quello che è il suo esule vissuto
in una vita che mai gli basta.
Vorrei partire,
riconquistare il tempo perso,
ridisegnare il mio avvenire:
vorrei affrontare a cuore aperto
la sua,
la mia Odissea.
Tornare a Itaca, lo so,
sarà difficile,
sarà come vivere e morire cento volte,
sarà soccombere di fronte alla paura,
al coraggio pusillanime
di chi è costretto a sopravvivere
che ti ricorda perché combatti,
perché, per chi desideri tornare,
fino a scoprire che il vero ritorno
sarà il tragitto con tutte le sue insidie
e non l'arrivo sperato;
fino a capire che il vero ritorno
sarai tu, rinato forte.
Guardo il mare,
il suo confine immaginario
che in verità bloccava solo la mia mente:
la mia impotenza da giullare.
Voglio partire,
voglio partire per ritornare
e oltrepassare il mio confine.
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