Scritta da: Iris Vignola

Era bella

Natia stella del borgo arroccato,
era bella,
Principessa di tutto e di niente,
nel calcare il declivio sinuoso
per bagnare candore di piume.
Agognava un incontro regale
come in tutte le fiabe sognate.
Dalle membra d'un cigno aggraziato,
in flessuose movenze,
sbocciava l'incanto del fascino innato.
Sprazzi d'arcobaleno, nell'iridi screziate,
acquose pietre trasparenti,
nel resto dei suoi occhi rilucenti.
Lo sguardo suo, spavaldo,
assorto negli squarci d'orizzonte,
volava in alto,
intanto che chinava altera e fiera,
qual vestale immacolata,
abbigliata di purezza, nella veste castigata,
allorquando,
strappandole le vesti e il sorriso,
rudi mani
le sottrassero il mondo intero,
fomentando urla e pianti disperati,
i cui echi
rimbalzavano sull'acque gorgoglianti,
prima di morir annegati.
La sua virtù annaspava,
nel mentre che implorava
per non subir il demoniaco sopruso,
di quell'immonda bestia su due piedi.
Repressi tabù fors'erano alla fonte,
incrementanti ossessioni
e perpetranti infamie ossessionanti,
in squallidi momenti depravati.
Viscerale desio d'istantanea morte,
il triste suo pensiero,
a implementar rimedio
allo spettro d'un futuro strazio vivo,
senza scampo
e ineluttabilmente eterno.
Rea impenitente di pudore,
violato e immolato sull'altare dissacrato,
riversa, sulla riva imbrattata di sangue,
la mente perduta nel nulla,
riflettendo se stessa nello specchio fluviale,
vide il cigno
trafitto e sporcato dal bieco peccato
e osservò le sue piume,
non più bianche ma nere,
sotto il cielo ammantato di male.
Al pensiero funesto, era sordo!
L'imbrunire, che intanto era sorto
oscurando le acque sornione
del letto del fiume,
ponderato "appropriato all'eterno riposo",
scatenò la coscienza confusa,
nel suo sguardo ormai spento
similmente a esistenza dissolta,
come fiamma d'un mozzicone
annientata dal lago di cera.
Rizzandosi in piedi, a fatica,
risalì il sentiero sterrato
con il cuore vilmente spezzato.
Un'ombra attendeva, dubbiosa...
La sua falce impietosa era pronta,
ma non ebbe ragione d'alzarsi
sul giovane capo reclino,
per mieter la vittima arresa alla sorte.
E la morte perdente riprese il cammino.

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