Si bea alfin di poesia
Pendii, ricoperti da manti
talvolta screziati o immacolati,
sposandosi a valli,
sciallate del verde di prati
oppur di ghiacciato candore,
intonan profetico canto d'amore,
al nascer del Sole
e al proprio calar il drappo rubicondo,
all'avanzar della sua dama silenziosa.
Luna altezzosa, regnante all'imbrunire.
Lo sguardo è in attesa fremente.
Dopo aver disceso le scoscese chine,
s'adagia sul piano a riposare,
indi, s'alza e s'addentra, spaziando,
nel color d'orizzonte vermiglio,
finché l'ombre, oscuranti la notte,
non incedan, col lor tetro passo assoluto.
Sorgiva, la fonte zampilla festante
e china il pendio taciturno;
scrosciando, ne pregna il silenzio,
coi gelidi fiotti, sprizzanti purezza.
Velata di trasparenza,
si coniuga al fiume, sornione e indolente.
Vitale, l'abbraccio irruente lo sferza all'istante,
dando agio a quell'inno d'amor gorgheggiato
di rinascer costante, nel rovente fulgore solare,
riflesso sullo specchio fluviale,
nonché al chiaror sensuale di luna,
che lo rende fatato.
Lo sguardo,
attardante a seguir la sorgente,
va a calar sull'acque del letto del fiume.
Scivolandovi sopra, s'adorna di lapilli d'oro,
prima d'esser dipinto di strali d'argento.
E l'eco, all'udito,
riporta rumori dal dolce sapore,
tal canti corali soavi.
Amante di nenie,
narranti le danze di sensuali Ninfe
dei boschi o dei laghi,
di storie abitate da leggiadre Fate,
ch'esprimon malia,
di suoni armoniosi reali o irreali,
forgiati di vero o di fantasia...
Quell'eco, al pari d'udito,
si bea alfin di poesia.
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