Scritta da: Iris Vignola

Compromesso con la morte

Orazioni, citavo alla morte, affinché mi lasciasse del tempo.
Il suo pronto riscontro dicea:
"Ma certo, convengo, benché il tempo restante non più t'appartenga".
All'oscura risposta,
un lato mi rendea indubbio conforto,
ma l'altro palesavasi un enigma bello e buono,
a discapito del mio pensiero speranzoso.
Salii sul pennone d'un vascello galeotto,
ch'ea parso ben disposto al mio fare clandestino.
Da lassù, scrutando il cielo sì turchino,
rievocante lunga chioma della fata di Pinocchio
e trascritto un annuncio alquanto strano,
lo inserii nella bottiglia, tanto assurda quanto vera,
sì forgiata solo d'aria mista a vento,
con l'intento che ruotasse per il mondo e ancora oltre,
fin laddove si lambiscon i confini d'universo:
"Tale tempo, che rimane, non ti degna il suo favore.
D'esser tuo, non ha intenzione. Esso più non t'appartiene".
Enunciò sorella morte, con l'aggiunta di parole,
ben cosciente della mia aguzza mente,
che, però, alla frase sibillina, restò inerme.
Per cui sorse la domanda: "Ma, alfin, chi n'è il padrone?"
Possa, dunque, chiunque legga il mio messaggio,
far in modo di fornir l'esatta interpretazione
o l'impertinente dubbio roderà quest'intelletto
per il tempo ch'è rimasto.
Detto fatto, scagliai in aere tale oggetto.
Di riflesso, soffermai lo sguardo attorno,
mentre il velo dell'arcano si dissolse,
stimolando il mio sguardo ad ammirar:
il quieto mare così immenso, cantastorie affascinante,
che sapea ammaliar la gente, col suo immortale canto;
le distese di montagne, dalle alture dritte al cielo,
le lor coste, imbiancate o verdeggianti, emananti rari olezzi;
il bel sole, fulgente di chiarore, incontrastato Imperatore,
nel tramontar soave, di purpurea tinta s'ammantava;
la fascinosa luna, pallida e altera, nell'imbrunir di sera,
con rinnovato passo da Regina, avanzava fiera.
le stelle palpitanti, come pietre iridescenti,
rendean prezioso il manto di velluto nero.
Stranita, alfin, sorrisi...
L'eclettico capolavoro, d'egocentrici elementi, ambendo il mio tempo,
sancivan, ch'attraverso, mi concedean cotal permesso:
di sollazzar il rimirante sguardo allor fattosi attento,
di consolar il cuore solitario, un poco affranto,
di coronar l'eterno spirito d'immenso.
A chi spettava il tempo mio, se non a loro?
Ne avea ben dunque avuto buon motivo,
d'un similare decretar, la morte;
ovvia ragion per cui, tutto considerato,
ebbi il buonsenso d'accettar tal compromesso.

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