È perfettamente cosciente
che dei suoi versi
non si occuperà nessun italianista,
che il suo nome non comparirà
in alcuna storia della letteratura.
Non saprà mai con esattezza
stabilire quale istinto o quale filo
lo conduca alla scrivania o al monitor.
Disdegna ogni arcaismo,
spesso cade nel canzonettistico.
Di tanto in tanto ringrazia il creato
per questa terapia della parola,
priva di costi e tariffario.
Spesso se ne sta in disparte,
schivo e riservato
in attesa di qualche epifania
per un nuovo canzoniere.
Il meglio di sé lo dà quando è depresso
e si masturba mentalmente sui ricordi.
In alcuni critici suscita
sarcasmo, odio ed indignazione;
in altri ilarità, compassione e rassegnazione.
Ma si dimenticano che le sue parole
sono esternazioni o pura espressione
di una sensazione.
Alcuni snob vorrebbero metterlo alla gogna;
altri ancora per non farlo più scrivere
vorrebbero tagliarli piedi e mani
o quantomeno lesionargli l'area di broca.
Si dimenticano che senza i suoi versi
non ci sarebbe alcun termine di paragone:
nessun grande poeta vive di oscurità propria,
ma ha bisogno dei chiaroscuri dei poeti minori,
delle tenebre del poetastro.
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