Il fiume
Seduto in riva ad un fiume, ti scrissi una poesia.
Ora l'ho persa, non la ricordo più.
Forse perché non credevo di scriverla,
e non immaginavo di cantarla.
Era bella, la poesia.
Parlava di vita, e di vita, di vita e d'amore.
Com'era strano vedere fluire la penna su un foglio, imprimere quello che non sapevo.
E ora l'ho persa, non la ricordo più.
La musa che mi ispirava, capricciosa e sbarazzina,
saltava e ballava, senza pensieri, come queste rime,
che rime non sono, ma solo l'accorato appello di un uomo.
La musa è andata via.
Forse ha scoperto che la sua libertà non era ispirare un uomo che non bramava lei,
ma amava ciò che gli dava.
La sua libertà era lontana dallo scrittore, che come un pennello di Dio
dipingeva in parole di un cosmo in poesia.
Ma ora l'ho persa, non la ricordo più.
Forse parlava dello scrittore,
che quando la musa lo abbandonò,
la amò, la odiò, abbandonò se stesso, per indossare un manto di indifferenza che lo schiacciò.
O forse narrava della musa, che, sorda a tutto ciò, si allontanò continuando a saltare,
e ballare, e ispirare, ma nient'altro che la propria vita?
L'ho persa, non me la ricordo più.
E allora tornai al fiume.
Cercavo le rime, cercavo la musa.
Mi sedetti là dove, incantato da lei,
scrivevo di sogni e d'amore,
e cercai tra i flutti del fiume.
Il fiume mi parlò, e tra il cristallino e lo spumeggiare
mi disse che non mi potevo ingannare.
Ora ricordo. Ricordo che niente scrissi,
ma soltanto che la persi.
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