In stallo sopra la parola perfetta. Fermo sulla zolla dissodata, con noncuranza ebbro di me. Così sto, poeta che per ogni promessa ha colore-odore-tatto-gusto. Per ciascun colore, la tintura d'una rosa, il tepore di una mano e la bocca socchiusa in un prestito al silenzio. Sono la parola, in mezzo al fumo. Che tradisce rapidi odori di gelsomini, quando la notte si depone in un foulard, come fosse la pelle del re nudo a doversi nascondere. Prima della preghiera sussurrata. Prima il fiammifero si spenga tra le dita.
Scompiglia l'ombra sul muro, il luccichio del fuoco tremolante. Disegna i contorni delle figure intrappolate in un silo di voci: ne ammaestra i profili, i sussulti ne placa, le ansie nasconde.
Le lacrime protegge e non fa scoprire.
Quando si aspetta ritorno, si teme partenza. Mentre l'olio per le lampade termina e non rimane che l'attesa. Il buio, il senso delle cose intatto.
Hai molte madri. La prima è il cielo che dilegua i confini, non teme i vuoti della notte, i gemiti dell'abbandono. C'è poi la terra, dentro cui hai messo radici esili, ma caparbie per affrontare il domani. È la tua terra di Colombia che hai lasciato, per accodare il tuo al nostro destino. La trattieni per sempre tra le dita, ne graffi con gli occhi i solchi seminati: ricordo e preghiera ne rimandano l'odore.
C'è la mamma che ti ha fatto nascere, e baciata con lacrime sottili, carezzata con le stesse mani che ti hanno dovuta poi lasciare, slegare alle nubi, riparare alla sorte.
Come ciottolo nel fiume hai navigato, nella corrente respirato, oltre ogni rancore. e dunque sono arrivata io, madre che indugiava sul tuo nome, sopra le domande da levigare, gli inascoltati sogni da proteggere. Mi hai insegnato che bastava solamente ascoltare con te i piccoli passi ai crocevia, i rumori delle fioriture, le piume frementi che al cielo si distendono.
Hai molte madri, sì: è il tuo peso sulle spalle, ma anche la tua taciuta forza. Sono voci ed ala, guscio e germoglio. Diverranno albero, foglia e volo in luoghi così distanti. Saranno amore per ogni tuo silenzio.
A te è profilo questo giallo orizzonte, che terra e luce cullano, chiarezza dipingendo a piogge e venti.
Sotto neve che urla e ingabbia grida per domani, il tuo silenzio tutto trattiene, affinché la cadenza estrema di soli e lune renda in dono agli amanti fiato nuovo e presagio d'eternità.
È rumore di un amore dormiente, brina tatuata alle rose, svelati abbracci e carezze sopra l'oceano luminoso che barche di carta percorrono caute.
È l'ultimo bacio prezioso che nodoso rosmarino dona al girasole già ripiegato tra le secche foglie.
È strano darti un bacio stando avvinghiati sulle poltroncine rinnovate del patronato di quand'ero ragazzo, fin che sullo schermo passano sparatorie di cow-boy e le frecce trapassano il telo.
Ho in ostaggio il tuo viso, la bocca serro con labbra salate di mistero, occhi di thriller, goffaggine d'avventura in pantofole. L'amore imperfetto dunque soffia, sbraita, ansima, soffoca?
Non c'è rimorso, paura che s'attardi, ci separi dal saltellare incerto d'ombre rosse e maggiordomi colpevoli. Si misura, ad ogni esistenza negata, la distanza impossibile tra vita e morte prima di un duello diretto da Sergio.
Uno sparo di troppo farà, d'improvviso, cambiare genere. Dentro innocuo film di cartoni dovevamo posare.
Se i colori stessero a indicare tutti i sentimenti d'un uomo, come rabbia e paura distingueresti da dolore e angoscia, da amore e memoria? Prenderei i tuoi capelli che ingrigiscono, la pelle che s'abbuia, le mani che si riempiono di dure macchie scure e sorriderei allegro. Prenderei una foglia d'autunno, e aspetterei vederla arrossare e marcire lentamente sopra la terra coperta di neve. Piangerei piano, nascondendo le lacrime.
Eppure tu hai nome, lo ricorderò per sempre. Questa foglia sarà terreno fertile per altra pianta, altri fiori, nuove parvenze.
Capisco che anche i colori hanno nome: ce ne sarà uno, scortese e inusato che rappresenterà la pietà per me.
Mentendo alle paure ai tanti medici, angeli in terra di guerra
Mentendo alle paure, cucio le braccia, una gamba, bendo un occhio, riattacco quel che penzoloni s'attarda un po' più in là del corpo. Sono le bugie distratte che ciascun angelo nasconde nella mano, provvedendo a ricovero per i timori, conforto per le grida che scuotono i muri, preghiera attardando nell'aria. Amore non è il mio dire, non è il mio fare, ma è affanno il mio ostinato restare, rabbia il mio vivere, dolore il mio vedere.
Questo bimbo che saltella sull'unico arto salvato dal disastro mi sorride nonostante. È il suo, l'unico amore rimasto, l'ingenuo annaspare nel domani. Persino l'angelo non ha futuro da donare: basta mi tenga ben salda la mano e asciughi assieme al sudore sulla faccia, la lacrima lenta.