Scritta da: lafiorentina
in Poesie (Poesie d'Autore)
Per questo
entriamo nel giardino ad occhi chiusi
e spalanchiamo bocche esangui.
Per questo
abbiamo piedi svelti e grandi sogni.
dal libro "Suoni" di Guido Mazzolini
Per questo
entriamo nel giardino ad occhi chiusi
e spalanchiamo bocche esangui.
Per questo
abbiamo piedi svelti e grandi sogni.
Tempo di ombrato mutamento
si spande il cielo di corallo acceso
vento disteso che soffia
polvere come scintille
nel cielo d'ottobre
mentre ingoio sogni
perso nella mia anima smarrita.
Questa parte di noi
non puoi guardare, figlio,
dall'alto della torre
della tua bruciante giovinezza
prima di accorgerti
quanto rapido e crudele
il tempo che hai davanti
esplode in un caleidoscopio di colori.
Ti accingerai a seppellire morti
a dileguare notti
camminerai sabbie
di gelidi deserti
re per un giorno appena,
così capirai che tutto è decifrato
prima che si compia
di mille strade troverai la sola,
così abbozzerai un sorriso
splendente dentro gli occhi.
Amami senza ritegno
come parola indecente e bisbigliata
come cosa morta raccolta da terra.
Amami come si ama l'inevitato
o un ultimo respiro,
senza chiederne ragione
senza consolazione.
Amami come i pazzi folli d'amore
non con la saggezza antica
di chi conserva inverni e guarigioni
ma come gli uragani che violentano la terra.
Disperdimi come sale e neve
voglio sdrucire l'anima
nel meridione dei tuoi occhi viola
perciò amami quando sono aquila lontana
quando carezzo le nuvole
quando sono seme di terra rorida
quando sono inverno.
Amami, non essere ombra diafana
diventa il mio tutto
il mio capolavoro.
Il carogna pelle a tartaruga
veste uno sguardo d’onice
incastrato d’osso
in vetta ad una pappagorgia appesa
mastica un secco, triste mozzicone
e incede quasi storpio a brevi balzi
mentre strabuzza occhi da piccione
dinoccolandosi di lesta intesa.
Fresco pastrano addosso
ruffiano anello d’occasione
versa un bicchiere a mezzo pieno
suggendo inappagate contentezze,
arricciola le labbra da signora
e intona querulo ballate antiche
con ventre e voce di zampogna d’ocra.
Liscia una barba d’esperienza spiccia
e un riccio pelo senza più vergogna
rosso d’inchiostro spento
tinge un canovaccio di parole
lercio d’immagini confuse
e luminosi spasmi d’esistenza.
La sera incombe, ghigna e porge il conto
il carogna, ali di gufo,
carezza colorate piume
e goffamente vola
nel pozzo verticale di un tramonto.
T'avvoltoli e migri, t'inarchi allegria.
Spalanca le braccia poesia.
Sepolcri già chiusi nei polsi
avventato salpare di navi
ormai la mia fronte si gela di pietra
e goccia il rimpianto, non più menzognero.
Sciogliti nuvola densa, oggi ho bisogno
soltanto di un povero sogno tangibile
e possa narrarlo ad un figlio.
Solstizio d'estate questa malinconia,
acido succo, tedio che pesa sugli occhi
il bianco tuo ciglio si piega
sommerso da questa realtà decifrata.
Fuggi l'affanno, sii pace
e non questo assurdo crepitare di ossa;
risorgi e sorprendimi,
nel breve rincorrere giorni
ho bisogno di un sogno
che possa squillare di gioia.
Il tempo ha bisogno di tempo
per essere dono sublime.
respiro l'assenza di noi
e sono animale ferito
tra le tue braccia nude.
Riposano
le mie solitudini
su tenui giacigli
di vento.
Respiro
l'immenso
del cielo.
Vorrei sapere amare
come inatteso dono
sorpresa imprevedibile
di un'agonia trascorsa
come amano l'alba
gli amanti solitari
come stornello antico,
un mantra di luce.