Poesie inserite da Elisa Iacobellis

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Scritta da: Elisa Iacobellis
Ondeggia, Oceano nella tua cupa
e azzurra immensità.
A migliaia le navi ti percorrono invano;
L'uomo traccia sulla terra i confini,
apportatori di sventure,
Ma il suo potere ha termine sulle coste,
Sulla distesa marina
I naufragi sono tutti opera tua,
è l'uomo da te vinto,
Simile ad una goccia di pioggia,
S'inabissa con un gorgoglio lamentoso,
Senza tomba, senza bara,
senza rintocco funebre, ignoto.
Sui tuoi lidi sorsero imperi,
contesi da tutti a te solo indifferenti
Che cosa resta di Assiria, Grecia, Roma,
Cartagine?
Bagnavi le loro terre quando erano libere
e potenti.
Poi vennero parecchi tiranni stranieri,
La loro rovina ridusse i regni in deserti;
Non così avvenne, per te, immortale e
mutevole solo nel gioco selvaggio delle onde;
Il tempo non lascia traccia
sulla tua fronte azzurra.
Come ti ha visto l'alba della Creazione,
così continui a essere mosso dal vento.
E io ti ho amato, Oceano,
e la gioia dei miei svaghi giovanili,
era di farmi trasportare dalle onde
come la tua schiuma;
fin da ragazzo mi sbizzarrivo con i tuoi flutti,
una vera delizia per me.
E se il mare freddo faceva paura agli altri,
a me dava gioia,
Perché ero come un figlio suo,
E mi fidavo delle sue onde, lontane e vicine,
E giuravo sul suo nome, come ora...
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    Scritta da: Elisa Iacobellis

    L'Uomo E Il Mare

    Uomo libero, tu amerai sempre il mare!
    Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima
    Nello svolgersi infinito della sua onda,
    E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
    Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
    L'accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
    Si distrae a volte dal suo battito
    Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
    Siete entrambi tenebrosi e discreti:
    Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
    O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
    Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
    E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
    Vi combattete senza pietà né rimorsi,
    Talmente amate la carneficina e la morte,
    O eterni rivali, o fratelli implacabili!
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      Scritta da: Elisa Iacobellis

      Alla luna

      O graziosa luna, io mi rammento
      che, or volge l'anno, sovra questo colle
      io venia pien d'angoscia a rimirarti:
      e tu pendevi allor su questa selva
      siccome or fai, che tutta la rischiari.
      Ma nebuloso e tremulo dal pianto
      che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
      il tuo volto apparia, ché travagliosa
      era mia vita: ed è, né cangia stile,
      o mia diletta luna. E pur mi giova
      la ricordanza, e il noverar l'etate
      del mio dolore. Oh come grato occorre
      nel tempo giovanil, quando ancor lungo
      la speme e breve ha la memoria il corso,
      il rimembrar delle passate cose,
      ancor che triste, e che l'affanno duri!
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        Scritta da: Elisa Iacobellis

        Il tramonto della luna

        Quale in notte solinga
        sovra campagne inargentate ed acque,
        là 've zefiro aleggia,
        e mille vaghi aspetti
        e ingannevoli obbietti
        fingon l'ombre lontane
        infra l'onde tranquille
        e rami e siepi e collinette e ville;
        giunta al confin del cielo,
        dietro Appennino od Alpe, o del Tirreno
        nell'infinito seno
        scende la luna; e si scolora il mondo;
        spariscon l'ombre, ed una
        oscurità la valle e il monte imbruna;
        orba la notte resta,
        e cantando con mesta melodia,
        l'estremo albor della fuggente luce,
        che dinanzi gli fu duce,
        saluta il carrettier dalla sua via;
        tal si dilegua, e tale
        lascia l'età mortale
        la giovinezza. In fuga
        van l'ombre e le sembianze
        dei dilettosi inganni; e vengon meno
        le lontane speranze,
        ove s'appoggia la mortal natura.
        Abbandonata, oscura
        resta la vita. In lei porgendo il guardo,
        cerca il confuso viatore invano
        del cammin lungo che avanzar si sente
        meta o ragione; e vede
        ch'a sé l'umana sede,
        esso a lei veramente è fatto estrano.
        Troppo felice e lieta
        nostra misera sorte
        parve lassù, se il giovanile stato,
        dove ogni ben di mille pene è frutto,
        durasse tutto della vita il corso.
        Troppo mite decreto
        quel che sentenzia ogni animale a morte,
        s'anco mezza la via
        lor non si desse in pria
        della terribil morte assai più dura.
        D'intelletti immortali
        degno trovato, estremo
        di tutti i mali, ritrovar gli eterni
        la vacchiezza, ove fosse
        incolume il desio, la speme estinta,
        secche le fonti del piacer, le pene
        maggiori sempre, e non più dato il bene.
        Voi, collinette e piagge,
        caduto lo splendor che all'occidente
        inargentava della notte il velo,
        orfane ancor gran tempo
        non resterete: che dall'altra parte
        tosto vedrete il cielo
        imbiancar novamente, e sorger l'alba:
        alla qual poscia seguitando il sole,
        e folgorando intorno
        con le sue fiamme possenti,
        di lucidi torrenti
        inonderà con voi gli eterei campi.
        Ma la vita mortal, poi che la bella
        giovinezza sparì, non si colora
        d'altra luce giammai, né d'altra aurora.
        Vedova è insino al fine; ed alla notte
        che l'altre etadi oscura,
        segno poser gli Dei la sepoltura.
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          Scritta da: Elisa Iacobellis
          Guarda che bianca luna!
          Guarda che notte azzurra!
          Un'aura non sussurra,
          non tremola uno stel.

          L'usignoletto solo
          va dalla siepe all'orno,
          e sospirando intorno
          chiama la sua fedel.

          Ella, che il sente appena,
          già vien di fronda in fronda,
          e par che gli risponda:
          "Non piangere, son qui".

          Che dolci affetti, oh Irene,
          che gemiti son questi!
          Ah! mai tu non sapesti
          rispondermi così.
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            Scritta da: Elisa Iacobellis

            Dedicata alla luna

            Un pallone leggero si alzò in cielo una sera.
            Salì in un momento tra nuvole e vento...
            Con un po' di fortuna, giunse sotto la luna... Disse:
            "Spostati tu, che voglio andar più in su!"
            La luna che era a un quarto, si fece un po' da parte...
            Ma passando vicino si bucò il palloncino.
            Scoppiò forte e sparì... La luna si impaurì...
            Poi le tornò il coraggio, e venne Maggio...
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              Scritta da: Elisa Iacobellis

              Al chiar di luna

              Calma, calma questo cuore agitato,
              tu, notte tranquilla di luna piena.
              Troppe gravi preoccupazioni,
              più e più volte
              gravano sul mio cuore.
              Versa tenere lacrime
              Sopra brucianti pene.
              Con i tuoi raggi argentati,
              portatori di sogno e di magia,
              morbidi come petali di loto,
              o notte, vieni, accarezza
              tutto il mio essere
              e fammi dimenticare
              tutte le mie pene.
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