Poesie preferite da Elisabetta Faggioni

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il desiderio di ricchezza del sottoproletariato romano

Li osservo, questi uomini, educati
ad altra vita che la mia: frutti
d'una storia tanto diversa, e ritrovati,
quasi fratelli, qui, nell'ultima forma
storica di Roma. Li osservo: in tutti
c'è come l'aria d'un buttero che dorma
armato di coltello: nei loro succhi
vitali, è disteso un tenebrore intenso,
la papale itterizia del Belli,
non porpora, ma spento peperino,
bilioso cotto. La biancheria, sotto,
fine e sporca; nell'occhio, l'ironia
che trapela il suo umido, rosso,
indecente bruciore. La sera li espone
quasi in romitori, in riserve
fatte di vicoli, muretti, androni
e finestrelle perse nel silenzio.
È certo la prima delle loro passioni
il desiderio di ricchezza: sordido
come le loro membra non lavate,
nascosto, e insieme scoperto,
privo di ogni pudore: come senza pudore
è il rapace che svolazza pregustando
chiotto il boccone, o il lupo, o il ragno;
essi bramano i soldi come zingari,
mercenari, puttane: si lagnano
se non ce n'hanno, usano lusinghe
abbiette per ottenerli, si gloriano
plautinamente se ne hanno le saccocce
piene.
Se lavorano - lavoro di mafiosi macellari,
ferini lucidatori, invertiti commessi,
tranvieri incarogniti, tisici ambulanti,
manovali buoni come cani - avviene
che abbiano ugualmente un'aria di ladri:
troppa avita furberia in quelle vene...

Sono usciti dal ventre delle loro madri
a ritrovarsi in marciapiedi o in prati
preistorici, e iscritti in un'anagrafe
che da ogni storia li vuole ignorati...
Il loro desiderio di ricchezza
è, così, banditesco, aristocratico.
Simile al mio. Ognuno pensa a sé,
a vincere l'angosciosa scommessa,
a dirsi: "È fatta, " con un ghigno di re...
La nostra speranza è ugualmente ossessa:
estetizzante, in me, in essi anarchica.
Al raffinato e al sottoproletariato spetta
la stessa ordinazione gerarchica
dei sentimenti: entrambi fuori dalla storia,
in un mondo che non ha altri varchi
che verso il sesso e il cuore,
altra profondità che nei sensi.
In cui la gioia è gioia, il dolore dolore.
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    Scritta da: Gloria Levrini
    Ho detto e ho praticato la giustizia,
    Ho parlato in modo veritiero,
    Ho trasmesso parole giuste.
    Ho comandato rettamente,
    In modo da godere dell'amore degli uomini.
    Ho arbitrato rettamente nelle controversie,
    Ho salvato il debole dalla domaniazione del forte, finché mi è stato possibile.
    Ho dato il pane a chi aveva fame,
    L'acqua a chi aveva sete,
    Una veste a chi ne era rimasto senza.
    A chi era senza barca
    Ho permesso di approdare all'altra riva.
    Ho dato una dimora eterna
    A chi non aveva un figlio che gliela costruisse.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      È là,
      dove si annullano i miei umani perché,
      che rispondo sì
      a Chi non chiede nulla,
      ma mi ama in tutto ciò che sono.

      Ed anche ora,
      nello specchio delle miserie
      di questa vita...
      Cammino silenziosa,
      per coglierne le infinite parole.

      Ho lottato con il mondo,
      perché l'arrendermi in Te,
      era la mia più fragile paura.

      Ed ora li vedo e mi vedo.

      Eccoli:
      i cocci del mio io,
      spezzato.

      Nelle tue mani,
      perle della collana più preziosa
      Nei miei occhi,
      lacrime come rugiada,
      a bagnare un giorno nuovo.

      A Te,
      che sei la mia Speranza
      e l'unica certezza nel mio incerto andare.

      A Te,
      che illumini le ombre
      della mia vita
      e scaldi le mie giornate senza sole.

      Perché questo vivere
      non sia un incedere sterile,
      ma un nascere
      e un rinascere ancora
      E sempre.

      A Te,
      io guardo e prego,
      assaporando briciole
      di eternità.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Rosso scarlatto

        Ho amato,
        amato la tua aria.

        Amato le tue dita
        strette alle mie.

        Ho amato,
        ho fatto l'amore
        con le tue parole,
        con i tuoi pensieri,
        con la tua anima.

        Ora i primi
        raggi dell'alba
        non illuminano
        più i tuoi occhi,
        il tramonto apre
        alla notte solo
        i miei solitari
        occhi umidi.

        Sotto l'occhio
        attento di una clessidra,
        il sole illumina
        il mio tempo.

        Carne solo carne,
        tra le mie dita,
        condita da insipidi minuti
        di un rosso scarlatto.

        Carne solo carne
        senza vita.
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          Scritta da: Jade S

          Carpe diem

          Non domandarti – non è giusto saperlo – a me, a te
          quale sorte abbian dato gli dèi, e non chiederlo agli astri,
          o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà:
          se molti inverni Giove ancor ti conceda
          o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde
          del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino
          – breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo
          e fugge il tempo geloso: cogli l'attimo, non pensare a domani.
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