Lasciala dormire. All'alba di ogni giorno si fa amare. Da mille rumori violentare. Raccoglie vecchio e nuovo dentro al cuore. Accoglie tanta gente con onore. Ladra di sogni, Roma sa gioire.
Due maschere. Una cela un'anima l'altra... è vuota. È solo un clone d'emozioni È coreografia È colore Ma non è respiro. Ma una sola anima... non attrae è la confusione, il caos, lo spettacolo... la follia interpretata... che cattura gli sguardi... In questo nostro secolo si è persa la meraviglia ecco... perché due maschere... due personalità... oggi, alimentano la curiosità di questo nostro... vivere carnevalesco.
Era d'agosto e un povero uccelletto ferito dalla fionda di un maschietto s'anniede a riposà con l'ala offesa in su la finestra di una Chiesa. Da le finestre del confessionale un prete intese e vide l'animale, ma dato che da fori aspettavan molti peccatori richiuse le tende immantinente e s'ammise a confessà la gente. Ner mentre che la massa di persone devotamente diceva l'orazione, senza guardà pe niente l'uccelletto n'omo lo prese e se lo mise in petto. Allora nella chiesa se sentì un lungo cinguettio: "Ci! Ci! Ci!" Er prete a risentenno l'animale lasciò di colpo er confessionale e poi nel nero che sembrava pece, s'arrampicò sul pulpito e li fece: "Fratelli! Chi ha l'uccello per favore, vada fori dalla casa del Signore" Li maschi, tutti quanti in una volta s'arzarono p'annà verso la porta. Ma er prete a stò sbajo madornale strillo: "Fermi, me sò espresso male! Rientrate tutti e stateme a sentì: chi ha preso l'uccello deve uscì!" A testa bassa con le corone in mano le donne s'arzarono pian piano ma mentre s'andavano de fora er prete urlò: "Ho sbajato ancora! Rientrate tutte quante figlie amate che io non volevo dì quer che pensate. Io vò detto e vè ritorno a dì che chi prese l'uccello deve uscì, ma io lo dico a voce chiara e tesa a chi l'uccello l'abbia preso in Chiesa!" Le monache s'arzaron tutte quante e poi col viso pieno di rossore lasciarono la casa del signore.
Senti, sarò ignorante, nun contesto, ma, scuseme, viè qua, famme capace, seconno te la guera cià er pretesto che s'ha da fa p'assicurà la pace. Insomma pe' sta in pace su la tera nun c'è che un modo: s'ha da fa la guera.
Poi c'è quarcuno che te vo spiegà, a forza de parole e de consiji, che la guera è 'na gran necessità pe' la felicità de li tu' flji. Però che questa è propio 'na bucia ce n'ho avuto un esempio a casa mia.
In Eritrea ciò perso papà mio, ner sedici so stato per un pelo de restà sull'Isonzo e mo er mi' fio se trova in mezzo a tutto 'sto sfacelo. Perciò me dico: "Quanno ariveranno quelli che finarmente goderanno?"
So secoli ch'er nonno e ch'er bisnonno fanno la guera e imbiancheno coll'ossa li campi de battaja in tutto er monno. Mo pe' difesa... mo pe' la riscossa... poi viè la pace e, appena l'aggustamo, ecco un antro pretesto e... ciariocamo...
Io me ritengo meno inteliggente de tanti cervelloni pieni d'arie, ma dico che la guera è solamente n'avanzo de li tempi de barbarie che ce dimostra che, fra tutti quanti, la civirtà n'ha fatto un passo avanti.
Perché, scusate tanto l'ignoranza co' la quale m'inchino a quella vostra, la vittoria pe' me nun cià importanza perché me dite, in fonno, che dimostra? Che vince er forte puro si cià torto, mentre er giusto, si è fiacco, è bello e morto.
Perciò dico: La guera s'ha da fa? S'ha da morì ammazzati? Nun fa gnente! Però nun sfotte co' la civirtà, cor giurà ch'è per bene de la gente. Ce se sa puro troppo che li stati n'escheno tutti quanti rovinati.
Curà 'sta razza nostra bella e forte assetata de pace e de lavoro; li campi indò se semina la morte rivedelli ondeggià der grano d'oro che te promette er pane... che scintilla... Vedè 'sta gente nostra un po' tranquilla!
Senti co' gioia er rullo der motore che canta la canzona all'officina senza dovè sta più cor tremacore che te porti la stragge e la rovina, senza più la paura dell'artijo che strappa er fijo ar padre er padre ar fijo.
Ecco er programma che se deve fa quanno se vo parlà de CIVIRTA'.
Checco Durante (Aprile 1943)
Traduzione:
La Guerra
Senti, sarò ignorante, non lo nego, ma scusami, vini qui, fammi capire, secondo te la guerra ha una giustificazione che si deve fare per assicurare la pace. Insomma per stare in pace sulla terra non c'è che un modo: si deve fare la guerra.
Poi c'è qualcuno che ti vuole spiegare a forza di parole e di consigli, che la guerra è una gran necessità per l'avvenire dei tuoi figli. Però che questo sia una bugia Ne ho avuto un esempio a casa mia.
In Eritrea ho perso papà mio,
nel '16 per poco non morivo sull'Isonzo ed ora mio figlio si trova in mezzo a tutto sto sfacelo. Perciò mi dico: "Quando verranno quelli che finalmente godranno?"
Sono secoli che il nonno ed il bisnonno fanno la guerra ed imbiancano con le ossa i campi di battaglia in tutto il mondo. Ora per difesa... ora per attacco... poi viene la pace e, appena la gustiamo, ecco un altro pretesto e... ci risiamo...
Io mi ritengo meno intelligente di tanti cervelloni pieni di arie, ma dico che la guerra è solamente un avanzo dei tempi dei barbari che ci dimostra che, fra tutti quanti, la civiltà non ha fatto un passo avanti.
Perché, scusate tanto l'ignoranza con la quale mi inchino di fronte alla vostra, la vittoria per me non ha importanza perché, mi dite in fondo, che dimostra? Che vince il forte pure se ha torto, mentre il giusto, se è debole, è bello e morto.
Per questo dico: la guerra si deve fare? Si deve morire ammazzati? Non fa niente! Però non sfottere con la scusa della civiltà, col giurare che è per il bene della gente. Si sa bene che gli Stati ne escono tutti quanti rovinati.
Curare questo nostro popolo bello e forte assetato di pace e di lavoro; i campi dove si semina la morte vederli di nuovo ondeggiare di grano d'oro che promette il pane... che scintilla... Vedere questa nostra gente un po' tranquilla! Ascolti con gioia il rombo del motore che canta la canzone all'officina senza dover più stare col batticuore che porti la strage e la rovina, senza aver più paura dell'artiglio che strappa il figlio al padre e il padre al figlio.
Questo è il programma che si deve fare quando si vuol parlare di CIVILTA'.