E s'ode un respiro di tenebra chiuso, nel guado del tetro sepolcro, sospiro di sguardo profondo scintilla nel buio, risale alle labbra un gemito fioco, l'apogeo del triste calvario rigetta il sudario... Proviene dal lungo percorso d'abisso infinito, il Figlio dell'Uomo... Rampollo di Dio.
Riprende il possesso del corpo smarrito...
La morte s'inchina alla vita, getta scettro e corona, bistrattata sovrana del nulla. Rinnegata la veste sua oscura, pel desio d'esser Figlio ch'onora il Suo Padre, in ciò ch'era scritto già allora, pel desio d'incarnare l'amore... ancora... e ancora.
Azzurri veli, negli abiti di tulle, tutu eleganti per inventare danze, lustrini, in chignon raffinati, per essere più belle e affascinanti. In calzamaglie e giacche variegate, costumi storici e forge aristocratiche, per essere più belli ed eleganti in performance appariscenti. Snelle e flessuose, movenze delicate, lievi passi danzati in rigide punte gessate. Prestanza e forza, movenze vigorose, agili passi danzati in nere mezze punte. Suadenti note, in melodiche armonie del pianoforte, accompagnanti l'eterogenia dei movimenti. Soavi cigni o Belle Addormentate, dolci Giuliette o Cenerentole incantate; fervide amanti dei vostri sogni a occhi aperti, estrose artefici dei vostri desideri più reconditi. Fieri Corsari o folli Don Chisciotte, aitanti Fauni o Spartacus ribelli; decisi amanti d'innati sogni ambiti, forieri d'energia onde appagar i vostri desii. Stelle, fantasmagoriche e brillanti, nell'incantevole magia d'una corale fantasia d'evoluzioni strabilianti e gesti celestiali. Oppure in Arabesque, come a essere Angeli.
Dall'alito sorgivo, nasceva Adamo, su terra consacrata; dalla sua costola predetta, s'innalzò Eva, appariscente, immacolata bellezza.
Tra i lillà, soggiacevan alla vita, prorompenti e innocenti le lor caste nudità. Compagni d'avventura... O di sventura, per l'arbitrio di chi non avea pari alcuno.
Silenzio in scaglie, negli anfratti del seno prescelto, fra costante rumor di fauna sibillina e flora abbarbicata ch'odorava persino nei colori.
Acqua adamantina, di purezza straripante. Quasi giardin del cielo, quell'Eden acquisito e primordiale; singolare riflesso d'eccelso Paradiso.
Tra fronde verdeggianti e frutti sconosciuti, avean casa viscide serpi velenose.
Fra cosce candide di donna, divenute esasperate, strisciava il vile ingannatore, scatenando qualcosa d'inconsueto, oltre alla percezione del pudore.
Di sangue s'infradiciaron le sue gambe.
D'istinti d'altra specie, esagitò Eva, ch'ignuda si sentì, fin a coprirsi con la foglia d'un tenero virgulto. Negata, quella mela che porse al prediletto Adamo, che la seguì, privo d'obiezione.
Tremolii su primitive labbra consenzienti dischiuse, nello sfiorar d'un cristallino bacio, seppur prologo d'ulteriori eccessi fattisi irruenti.
Tra oleandri e rampicanti, betulle e piante sempreverdi, gli olezzi dei roseti inebriavano l'olfatto.
Parossismi equipollenti, nei lor sensi ossessionati, sguardi impertinenti supplicavano il coraggio per quegl'istinti di cui non erano coscienti.
Coperti dal primordiale cielo, vermiglio, nei riflessi conturbanti, ceduti al mare, nel suo ospitare il sole e i suoi colori rosseggianti, nell'imbrunire, sì posto a ventaglio, il femminile corpo seducente e nudo.
E nell'atavico amplesso sconsacrante, dacché non eran sposi consacrati, godeva il serpente, nella sua spira avviluppato, nel mentre il sole perdeva i suoi appigli, calandosi nell'acque divenute turbolente.
Ma s'oscuraron cirri, su di loro, forgiando nubi di carbone, si coprì il cielo, delle tinte della rabbia e d'impotenza, scatenatesi all'indegno tradimento.
Poi giunse il tuono, nell'ira del Creatore, palesato, lor Dio Padre, che li additò a spergiuri e stolti peccatori, sancendo pene gravi e pianti disperati, per l'avventata Eva e il suo compagno Adamo.
Nel sospiro, che dal petto s'immolava, s'arrancava il pentimento, valicando il confine di tal Eden sì perduto e benedetto.
D'uno sguardo dissonante, si vestiron i lor occhi già cacciati e maledetti; artefatte, la bellezza e la purezza, ai compagni di condanna e di dolore...
Stranieri a quel giardino, nel lor errar nel mondo ignoto, alfin conobbero le vesti.
Evocai il di lui sorprendermi, talmente assiduamente, che spicchio di solar bagliore, prim'ancor d'esser partorito dal grembo aurorale, vestendola d'oro e altresì di purpureo chiarore, procrastinando lo smodato calore e all'arco di giornata ritardando d'arrancare, venne alla luce, alquanto sbalordito.
Col segno zodiacale, soppesai il silenzio, onde salvaguardar eterna solitudine, ombreggiante proprì apocalittica essenza, al fin giammai di sacrificarmi all'impudico nulla. Ea triste, il suo lagrimoso volto, m'arrecava tristezza; per indefinito tempo, prospettai me stessa compagna d'essa.
Di tenebra, tessuto e da rivelazione, gettato, muto, il velo suo rimase al suolo quand'a me perfetta s'ea palesata. Sordo al silente abbandono, niuno lo vide né lo fece suo, in virtù della speme nutrita verso realtà amica.
Or il vespero attendo, empiendo l'attesa d'evidente tinta evanescente coniugat'a impietoso tremore del corpo, fintanto ch'in periodico apogeo alfin appare, Luna Nera ribelle e selvaggia, archetipo d'istinti e pulsioni, dilaganti tuttora nel ventre che guarda.
Per quanto solitudine imperi, è sciente ch'essa sia fatiscente. Luna Nera t'imploro: Orsù, impetra l'Adamo, che soggiaccia quest'Eva ch'è pronta, pur non oltre il piacere, pur non oltre l'Amor essenziale.
Spore di secondi, di minuti e d'ore perpetuan il divenir di giorni, di mesi e d'anni, in un preludio di verdi colori, frasche di speranza nasciture. Campi Elisi verdeggianti, eternamente da Zefiro carezzati. Oh, Speme d'Albore, che tu possa squarciar l'ombra del buio, nell'avvento d'ogni nuovo giorno, sgravar costei dal giogo infame d'obbrobriose colpe d'avvenire, vestendoti e riflettendo fanciullesca condizione. Vergin Sibilla, ch'atteggi, di profetica virtù, parola, inversamente all'immutabile propender tuo oscuro, palese parvenza, indossando sol vesti di savia coscienza, sii alla magione la beneamata benvenuta. Seppur fosti fonte d'ambigue predizioni pel dedalo d'accadimenti, oh, Tempio d'Oracolo, nel ricoprir tue chiome di chiaror di luna, ometti di svelar l'inenarrabile responso e viceversa fa sì d'esser benevola ispirata. Nella freschezza di note musicali, di risa gaudenti e di schiamazzi infantili, altresì di fredde acque cristalline, scroscianti da rupi scoscese e da rocciosi anfratti, rupestre paesaggio all'Eden riportante, nel coltivar l'epilogo, che non sia chimera, lusingo me stessa.
Preludio d'albore, in dorati e rosati veli soffici, accarezzanti il blu ceruleo d'orizzonte. Sublimante, il pennello del pittore nell'espressione radiosa di tinte pastello, liberamente, imprime in tal contesto librar d'ali di farfalla variegata, svolazzante nel prodigio dell'aere circostante. Del connubio di beltà e d'armonia, coniate da destrezza e fluidità del tocco sì sapiente, s'è impregnata la fortunata tela, affascinata dall'abito indossato. Di fine pizzo orlato, trina intagliata magistralmente, tessuta in sintonia con la volta celeste, tal copritavolo su cui poggian prelibatezze e inebrianti profumazioni floreali, in simbiosi con gradevoli e tenui colori appaganti l'olfatto e lo sguardo di chiunque potesse trovarvisi accanto, s'è fatto altare, atto a consacrar raro incanto. E sotto il firmamento, rispecchiantesi nel fluido specchio sottostante, tra sottintese note sinfoniche gaudenti, riposa, la tavolozza, del pennello sposa e madre d'un altro figlio beneamato, epilogo d'un sì capolavoro.
Dal maestoso castello sulle nubi, lesta, s'avvia alla Terra ed estranea al proprio potere, al suo leggiadro arrivo, la rende ancor più bella. Al suo passar, Madre Natura dal sonno si risveglia, inverdendo prati brulli e disseminando delicati boccioli, che testè s'apron, effondendo olezzi e andando ad acquietar e tinteggiar di blu il cielo e i mari sparsi. E di ritorno, con, tra i capelli, un fiore, raccontar deve, Primavera bella, all'amata sorella, che, in segreto al padre suo, l'esile piede posa sullo sconosciuto pianeta, che muta dov'ella si riposa. Succosi frutti, raggi brucianti dell'astro, in ciel, radioso, di campi distese, di spighe dorate, delle quali una afferrare e, tra folta chioma, inserire innanzi risalire e tutto raccontare, gioiosa Estate, al di lei fratello Autunno, che, mesto e incredulo, discende rendendo tutto triste e cupo, ingiallendo foglie e fomentando il vento, ma, altresì, assaggiando castagne e mosto, avanti tornare al proprio posto. "Fratelli menzogneri"... Proclama diafano l'Inverno. "Ognun di voi narra storia a sé, per cui, questa volta, deve toccar a me." Silenzio, intorno, al suo calare al suolo. Bigio il cielo e il sole scompare. Candido e gelido manto copre la Terra, mentre egli, sull'ali del vento, l'esplora senza esitare, ambendo verde prato fiorito, di grano distesa, grappolo d'uva matura e, ancor, dolce mosto saporito. Turbato, al castello occor far ritorno acciocché i fratelli smentire e sul pianeta, assieme, tornare per la verità appurare. Apocalittica impresa che il mondo sconvolge, in un solo momento d'incauto ignorare. "Ogni tre mesi, figli sciagurati, ad alternarvi siete comandati, finanche io, Re Tempo, padre vostro, lo imporrò poiché la Natura, vostra madre, proteggere dovrò!"
Onde favorirsi dell'insorger dell'onda d'intuizione, l'intelletto annaspa nel mare del pensiero, da sé forgiato. Intervallandosi a brevi, placidi ondulii assai meschini, roboanti marosi straripan nel fiume delle contraddizioni, sennonché l'acquoso dolce, mitigando l'amare differenze, redarguisce la sì misera saggezza, ché doni voce alla propria muta coscienza. Affogate alfin le controversie dei figli della mente, ch'attualmente s'atteggian leggiadri danzatori, giungent'in flessuose movenze su punte, novo vento, in essa, appiccia miccia operante la scintilla veritiera. Dell'intuito, il barlume accresce nel rogo d'inclemenza e sol cenere resta del menzognero velo d'incoscienza, intanto che s'apre il sipario del vero.
Nell'oceano dei ricordi, essenzialmente quelli pregni di emozioni, oltre ad altri, in cui l'impulso di odori, sapori, note musicali, riporta alle mente antiche sensazioni, riaffiorano integralmente, onde non essere dimenticati in quanto frammenti di un passato che dà il senso a ciò che eravamo e probabilmente non siamo più... o forse siamo tuttora.
Mettete dei fiori nei vostri e nei nostri cannoni!
Abbandonando il sospiro nel nucleo spirale del vento, trae profondo respiro dal sì glabro petto. Inarcandosi sottostante volta d'orizzonte, fortemente eleva ossute braccia come a un padre, onde squarciarne il velo conclamante insofferenza. S'avesse l'ali, in sogno, palesate, anziché notarsi implume, indubbiamente l'avrebbe già raggiunto oppur nell'attimo presente si spingerebbe fin a esso, rifuggendo l'abominio d'una guerra dissacrante il bene. Sconfinato nel predominante male, sebbene ripudiato amante, attraverso matrice del pensiero, l'urlo sottinteso schizza all'apice del desiderio, dacché la voce gli s'è arroccata appresso, oramai fattasi rauca per il drammatico spreco.
"Mettete dei fiori nei vostri e nei nostri cannoni!"
Analogamente a imbelle barca indifesa, ripugnata l'avvilente arma e in procinto di naufragar i propri sensi nel tempestoso mare degli accadimenti, ove or l'ancora, in strettoia rocciosa, getterebbe, ond'approdar a sicuro lido affrancante ed esimersi dal rollar pressoché costante, equipollente al tremolio convulso d'una foglia sferzata da libeccio, seppur intenzionata a rimaner abbarbicata al pendulo peduncolo, ipotetico cordone legante se stessa al proprio ramo amato, mitragliato a sua volta da sibilanti raffiche violente, nulla gli rimane, se non aggrapparsi a speranzosa speme come fosse madre amata. Prono su terra rosseggiante, prostrato al fato, miraggio, gli appar, di verdi prati sterminati, nel sentor satollante d'olezzo floreale, sovrastante odore di ferroso sangue, d'assolate rene dorate, solcate da creste d'onda spumate di biancore, d'acque marine ornamentate di gemme lapislazzuli. Effluvio di vital salmastro, viceversa a putrida morte. Alfin, di nuvole, cumuli rincorrentisi e di frizzante aria, su pelle sì ignuda, sensazioni strabilianti, nell'impersonarsi libero parimenti a essa. Ineluttabilmente, l'offuscata coscienza è assalita da quesiti silenti d'un prode guerriero combattente...
... Per qual motivo ignoto, s'è dato sapere?
O all'opposto, rinnegante il malefico reale d'un giovin terrestre, sottratto alla propria esistenza ond'elargire dolore.
Putativo padre, quel sovrastante cielo può unicamente pianger lacrime amare!