Poesie inserite da Iris Vignola

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Scritta da: Iris Vignola

Giunto sopra al nono cielo

Com'in un baccello,
racchiudevan, l'ali sue, quell'Angelo caduto,
affranto, nel suo guscio.
Fors'il cielo non se n'er'ancor accorto,
che mancava al Paradiso.
Che mancava il suo sorriso.
Quelle lacrime di pianto
gli cadevan dallo sguardo desolato.
Solitario, il suo dolore,
strano specchio del suo essere perfetto,
privo d'altro sentimento che d'amore.
Rannicchiato su se stesso,
come fosse stato in grembo,
mai vissuto, dal suo esser un eletto,
spoglio d'ogni umana sorte,
sconosciuta, a lui, la morte.
Dolce rosa... la fragranza riportava la speranza
del giardino dei Beati,
d'ogni gaudio, profumato e di letizia,
dove ritrovar riposo, nell'empirico suo volo,
giunto sopra al nono Cielo.
Composta mercoledì 3 febbraio 2016
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    Scritta da: Iris Vignola

    Le mancava immensamente

    Sorvolava il mare, con le sue ali bianche,
    pareva esser volo d'un gabbiano,
    scrutando l'onde che, nell'infrangersi su scoglio,
    l'erodean malvagie. Immobile, com'ad aspettar la morte.

    Si poneva sulla rena, ammirando, col suo cuor ormai etereo,
    l'orizzonte, riflettente nell'acque trasparenti,
    ch'agivano da specchio, nel donargli i suoi colori evanescenti,
    ch'entrambi rendevan similari. Quasi fosse suo gemello.

    Seguiva, coi suoi occhi verde-azzurri, fin in fondo,
    dove sguardo si perdea, laddove parean incontrarsi,
    sciogliers'in un abbraccio, per divenir tutt'uno. Quasi a sposarsi.
    Simbiosi d'un creato insormontabile e perfetto.

    Rammentava l'acre effluvio del salmastro,
    or mai più potea inebriarsi, così priva dei suoi sensi.
    Le mancava percepir i suoi fremiti soventi,
    in quel tempo, nell'immerger il suo corpo ancor intatto.

    Ascendeva nuovamente al posto suo, alle Alte Sfere,
    immutabili, in quel ch'era il Paradiso,
    inni, in cor di Cherubini e Serafini spars'in cielo,
    non lenivan il ricordo del suo mar...
    Le mancava immensamente...
    Non poteva starne senza...
    Composta sabato 27 febbraio 2016
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      Scritta da: Iris Vignola

      Sospesa a un filo di seta

      Sospesa a un filo di seta, detergo l'aurora,
      togliendo quel velo notturno che copre il suo volto,
      vorrei che nascesse un po' prima del tempo.
      Farfalla improvviso, dal bozzolo uscita.

      Sorelle frementi, m'accolgon tra loro, ruotandomi attorno,
      invidio il fregiarsi costante dell'ali sgargianti,
      s'un volo saccente, mischiante color su colori,
      regine onorate dai fiori, del mandorlo e il pesco.

      Leggiadro, quel vibrar su stelo, poliedriche vesti,
      il misero baco ognor l'ha lasciato,
      s'è spento, di trasformazione, fatal desiderio,
      ha ucciso, la femmina, i biechi suoi panni.

      Dissolto s'è il filo di seta, s'è scinto il cordone,
      la fervida immagine, rapito ha la donna,
      s'effigia dell'ali nascenti, a stregua dell'esser farfalla,
      di nascer or ora, s'inoltra nel folle pretesto,
      per far quel che sente la mente, ispirato dal cuore.
      Composta venerdì 4 marzo 2016
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        Scritta da: Iris Vignola

        A librarsi nell'aria, su... in alto

        Incedendo sì piano su rena bagnata,
        i suoi piedi imprimevano l'orme
        da cui rifluiva, sovente, dell'acqua salata.

        Attendeva l'arrivo fremente dell'onda,
        su cui spuma leggiadra,                                                                                                                                              sbocciando, adornava,
        ch'appariva dissolversi al tatto.

        Innalzava lo sguardo più in alto del cielo,
        perso nella sua muta preghiera
        atta a chiedere venia al suo Dio.

        Se il desio del creato dinanzi
        le rapiva la mente
        e l'effluvio, sì acre, i suoi sensi.

        Se dal cuore esondava l'amore,
        per quel mare ch'amava d'immenso
        da mancarle, al pari del fiato                                                                                                                                                   e di cui recepiva il respiro.

        Se ancor percepiva il rimpianto
        d'aver tutto quel ch'agognava, sì tanto,
        all'inverso d'un paio di diafane ali.

        E se il vento arrecava quel canto
        nel sfiorar l'impalpabile corpo,
        suscitandole brividi intensi...

        Smoderato l'incanto, a quel mare,
        il suo Padre Celeste avea dato.
        Non potea darle torto, se tardava a tornare.
        A librarsi nell'aria, su... in alto.
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          Scritta da: Iris Vignola

          Se d'amor è costellato

          Dedalo di tombe, sì squallide e penose,
          abbandonate, nel correre del tempo, che l'ha inasprite.
          Colgo espressioni vive,
          da immagini ingiallite di volti antichi.
          Sguardi sfocati,
          che celan l'incognito movente d'esser vivi.

          Immaginarie salme sconosciute, cinte in sepolcri,
          testè pregnati sol di cenere sbiadita.
          L'essenza, invero, s'è dipartita,
          dall'ultimo sospiro della vita.
          Quesiti sorgon, in veste di pensieri,
          pur privi di sentenze giuste, ma sol di presupposti.

          Colei... colui, che fu materia, tessuta d'impeto d'amore,
          lo alimentò, in vita? Ne fece la sua bibbia, il suo volere?
          Tal labbra, ormai più rimembrate,
          ch'han gli angoli ch'atteggiano sorrisi,
          quant'amore, allor, hanno donato?
          Di quanto, altresì, parlato?

          Il vento del silenzio cela storie, che narran di vissuto e di rimpianto,
          per quel che non è stato, di morte e di rancore,
          di gioia e di dolore,
          seppur, innanzi tutto, dissolva il velo nero da quel canto,
          che s'alza, dalla terra in ogni dove,
          circuendo ogni cuore solitario,
          per riversarci amore, sgombrando l'ombra nera del livore.

          Bene sempiterno e imperituro male,
          in lotta solitaria, senza scampo,
          leggendario, il lor fluire antagonista, nella gara del potere,
          di cui saggi son i tumuli,
          che ognor san quel ch'è vero,
          ciò ch'era stato scritto, dal principio.
          Peccare, al pari di sbagliare scelte esistenziali.

          Debole, la carne, si flagella infine,
          tuttavia, divien, perdono, l'essenziale,
          se, d'amor, è costellato,
          qual prospetto di ricchezza universale,
          che non lascia nulla al caso, ma s'è fuso,
          nel plasmare l'entità, quale fulcro del concetto d'esistenza,
          coniugata alla luce dell'eterno.

          Ingiunge, la coscienza, nell'attuar le scelte,
          sian esse grame o giuste, al suo parere,
          falsato, talune volte al cuore, che, di rimando,
          brama affrancarsi, dall'assoggettarsi,
          s'è posto in discussione, cosicché ribellarsi,
          ponendosi al comando,
          onorando l'amore.
          Composta sabato 9 aprile 2016
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            Scritta da: Iris Vignola

            Illustro giorni

            Carpendo sfumature iridescenti
            dai colori che natura ci ha donati,
            illustro giorni,
            variopinti e ghirlandati,
            dai toni sussurrati dal desio
            dell'io nascosto,
            tralasciando il tinteggiar oscuro
            del grigio e nero.
            Incetta fa, la speme,
            di giorni alternativi
            di dì sognati e mai visti innanzi,
            di ore beneamate,
            che nutrano il presente,
            dacché, del mio futuro,
            non sappia ancora niente.
            Illustro giorni vaghi,
            dal cuore di farfalle,
            che volino soavi
            e lascino i lor strali,
            su note di violino,
            o d'arpe celestiali.
            Composta martedì 17 maggio 2016
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              Scritta da: Iris Vignola

              Desideri

              Nascondeva lacrime innocenti, tra radicate infamie,
              mostrando denti bianchi, in sorrisi smaglianti ed ammiccanti.
              Pertugi, nella mente, circuivano pensieri,
              simulando desideri, luccicanti come stelle,
              ancorate a quel suo cosmo irriverente,
              prigioniero d'ombra d'un disdicevole degrado
              del suo alter ego, di quella che faceva e non pensava niente.
              Di colei che rifiutava e viceversa, la sua parte di coscienza,
              che tesseva, ricamava, rifiniva una vita alternativa,
              rammendando solitudine e squallore, in vuoti enormi,
              con l'ago di pazienza ed il filo di speranza.
              Desideri impertinenti, timorosi di svanire, essa cullava,
              fra lenzuola spiegazzate, che grondavano sudore,
              corpi ignudi, misti a umori e ad odori, in rapporti sempre uguali.
              Mille amanti frettolosi, mille volti sconosciuti,
              non colmavano il ricordo di quell'ora ch'hanno avuto,
              nel lasciar la propria impronta, poi dissolta, in un minuto,
              sopra il letto saturato del veleno del peccato,
              fomentato dal martirio d'un orgasmo esasperato.
              Desideri irrefrenabili e impetuosi,
              affrancatisi da pene del suo viver licenzioso,
              sconfinando e rinnegando ogni traccia di serpente
              che, strisciante, rifugiava nella tana bistrattata
              e infecondata, dall'amore ripudiato e crocifisso.
              Desideri ch'hanno vinto,
              nello smetter di giacere fra le braccia di nessuno
              e nel cogliere il volere, quel recondito, sol uno,
              quel dettato dalla voglia di riscatto del suo ego,
              nel riflesso d'esistenza, intrappolato, in quel laido passato.
              Composta giovedì 9 giugno 2016
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                Scritta da: Iris Vignola

                Luce di speranza

                Avanzo lentamente, solcando strade in città stinte, aridi deserti,
                attorniata d'altri, percependo fatalmente d'esser sola,
                tra solitudini diverse.
                Su passi d'affannante gente smarrita, arranco la salita con fatica.
                Scomparse ormai pianure e pur discese,
                come per ogni essere pensante, al quale han tolto molto... tutto... La luce di speranza.
                L'umanità s'è persa, tra 'l deserto del domani, oceano di sabbia fautrice sol d'inezia.
                L'odore della morte, ch'opprime il cuor e nari,
                seguente a cruenta sorte, sì avvallata dal male, crea disperati.
                Sanguinaria, ancor grida la belva ancestrale,
                ch'ha fame di carne, nonché sete di sangue.
                Grida disperse s'elevano al cielo, racchiudenti intrinseche preghiere
                rivolte al Padre oppure al Figlio, che taluni all'inverso bestemmiano.
                Nel seguir ombre sconosciute,
                calpesto lor orme su terra brulla, su cui germoglia unicamente il nulla.
                Riecheggian voci lontane tra fasti passati, echi di gaudio e di risa già udite.
                Tremulo, 'l fuoco dell'amor fraterno si consuma,
                per spegnersi a un impercettibile alito di vento o a un sospiro.
                Respiro indifferenza tra rovine,
                la brama di potere ha reso l'uomo infame, senza confine alcuno.
                In cambio di danaro baratterebbe tutto, persin la propria madre.
                Caduca volontà, creder ch'esista un avvenire!
                I martiri s'arrendon senza porre resistenza; prona la vita a reclamar la lotta,
                purtroppo par invana la richiesta, resta sospesa, tra barlumi di paure.
                Riarse labbra celano sorrisi, dagli occhi gonfi 'l pianto scava solchi sulle guance,
                la folla delirante chiede pane ed esistenza vera.
                Le voci son riunite in un coral brusio sommesso,
                ch'intona un inno ch'ha sapor di prospettiva, univoca la voce ch'or s'alza dal deserto.
                Nel mentre l'orizzonte s'è imbrunito,
                il vento testé alzato spira forte e disperde or or la sabbia d'apatia.
                Scoprendo ciò ch'aveva sotterrato
                ravviva allor la fiamma di speranza, innegabilmente mai del tutto spenta.
                Composta lunedì 23 novembre 2916
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                  Scritta da: Iris Vignola

                  La monaca

                  Scioglieva i suoi capelli lunghi e neri,
                  soggiogata da litanie, nenie diffuse,
                  allorquando li spezzava, in un sol colpo,
                  donando chioma, alla lucente lama.
                  Brandelli caduchi,
                  rendean tappeto l'ore infrante,
                  taglio netto ad un nobile vissuto,
                  in agonia prostrata. straziata,
                  seguente a scelte d'altri,
                  dal bieco sapor di costrizione.
                  Un solo istante... l'esistenza, in un minuto,
                  s'ea ritirata tra cinta di clausura,
                  orazioni cantilenanti e ceri accesi, sagome scure su immacolati muri.
                  Angusti corridoi... Segreta e uggiosa cella accogliea carne fiorente,
                  vitale ed infuocata, dal desio del peccato,
                  a tramar l'incontro e copulare, nell'anelata ombra,
                  recante luce a figli, nati e persi, sovente mai bramati.
                  Tormentato amore disperato, esasperato da simboliche catene,
                  sortite dalla mente d'un infido tiranno,
                  che padre s'appellava, di giovinetta ignara,
                  la monaca che si macchiò d'infamia, in tempi andati.
                  Composta mercoledì 20 luglio 2016
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                    Scritta da: Iris Vignola

                    Se musica fosse il mio nome

                    Allietata a inventar melodie,
                    come strali sinuosi,
                    sprigionandole all'erte colline, ch'incontrano valli,
                    ne riempiano fiumi e torrenti,
                    nel scrosciar dirompente dell'acque,
                    gorgogliandole ai boschi silenti,
                    come fosser carezze innocenti.

                    E ad effonderle ai prati, irrorandone i fiori,
                    che sappian cantare il sussurro di miele,
                    olezzo fluente nel vento,
                    dell'etere, sospiro corroborante.
                    Proverei a ricercar sinfonie voluttuose,
                    d'accordi coese,
                    sulla scia dei gabbiani garrenti.

                    Stridori possenti, nel volerle imitare,
                    per vestirne la brezza, volando sul mare,
                    dando agio alle note che forgino il canto,
                    che sol lui sa intonare, col suo far fascinoso,
                    lo sussurri alle onde, in quel lor fluttuare
                    ed illuda ancora la rena,
                    che non abbia a finir nel fondale.

                    Sognerei di scoprir l'equilibrio d'un ritmo armonioso,
                    di cui cingermi in fretta a plasmar lo spartito,
                    per non farlo sfumare
                    e vibrarne le corde d'un piano o un violino,
                    che mi elevino in alto,
                    oltre i monti imbiancati, sui cieli,
                    a donar le mie note alle arpe suonate da dita divine.

                    Se Musica fosse il mio nome...
                    per danzar nella sfera celeste,
                    angelica come nessuna,
                    nel flusso sgorgante di mille assonanze...
                    Sarei Musica Eccelsa.
                    Composta martedì 1 marzo 2016
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