Apparirà all'improvviso dal giaciglio del firmamento Un venerando irritato che griderà ad una folla gremita: "Oh ignari titubanti tra certezza e incertezza Il vostro cammino non deve seguire questa né quella".
Se fosse dipeso da me il mio venire, non venivo E se da me dipendesse l'andarmene, quando mai me ne andrei? Era meglio se in questo diroccato convento Non fossi venuto, né andato, né stato giammai.
Io lupo della steppa trotto solo solo, nel mondo ormai di neve bianco... Dalla betulla scende un corvo stanco, ma non vedo una lepre, un capriolo! Oh come voglio bene ai caprioli! Poterne trovar uno, oh bella cosa! Vi affonderei la bocca mia bramosa: non v'è nulla che tanto mi consoli. E con amor e affezion sincera, delle tenere carni farei strazio, finché di sangue veramente sazio a urlare andrei dentro la notte nera. Anche una lepre basterebbe, via! Dolce ha la carne pel mio gusto bruto... Possibile che tutto abbia perduto quel che abbelliva un dì la vita mia? È grigio ormai della mia coda il pelo, e già la vista mi s'annebbia e oscura, sono anni che mia moglie è in sepoltura, ed una lepre, un capriolo anelo. Vado a caccia di lepri, trotto e sogno all'invernale sibilo del vento, e ingozzo neve, neve, finché ho spento la mia sete, e do l'anima al demonio.
Avevo una scatola di colori, brillanti decisi e vivi avevo una scatola di colori, alcuni caldi, alcuni molto freddi. Non avevo il rosso per il sangue dei feriti, non avevo il nero per il pianto degli orfani, non avevo il bianco per il volto dei morti non avevo il giallo per le sabbie ardenti. Ma avevo l'arancio per la gioia della vita, e il verde per i germogli e i nidi, e il celeste per i chiari cieli splendenti e il rosa per il sogno e il riposo. Mi sono seduta e ho dipinto la pace.
Cum subit illius tristissima noctis imago, Quae mihi supremum tempus in Urbe fruit; Cum repecto noctem, qua tot mihi cara reliqui; Labitur ex oculis nunc quoque gutta meis. Iamque quiscebant voces hominunque canumque; Lunaque nocturnos alta regebat equos. Hanc ego suspiciens, et ab hac Capitolia cernens. Quae nostro frustra iuncta fuere Lari.
Quando risorge in me la tristissima immagine di quella notte che fu l'ultima ora a me concessa in Roma, quando rivivo la notte in cui lasciai tante cose care, qualche lacrima ancora mi scorre dagli occhi. E già le voci degli uomini e dei cani tacevano; e la luna alta nel cielo reggeva i cavalli notturni. Io la guardavo lassù, e poi guardavo i templi capitolini, che inutilmente furono vicini al nostro Lare.