Scritta da: Marco Galvagni

Noi figli della guerra

Anni tremanti appesi ad una foglia
su per il vorticoso dedalo dei sentieri della vita.
Era il tempo di baci screziati di viole,
frutto di teneri abbracci e carezze.
Ora, noi figli della guerra,
ascoltiamo l'eco dei silenzi dei cuori stranieri
e, intrisi di tristezza, vaghiamo
nella luce fatua dell'impervia brughiera
incendiata da un'acerrima battaglia.
Poi,
quando finalmente s'immolerà l'animo nostro
schiavo della sete amara del potere,
non saremo più costretti ad annaspare,
non più naufraghi nelle impervie trincee.
Scacceremo d'improvviso l'orrore
con una promessa di pace
che assumerà l'aspetto, nella nostra oasi di quiete,
d'oro fuso d'un amore tramato fitto.
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    Scritta da: Marco Galvagni

    La nave

    Vedi, questa nave è un diario di pensieri
    dove cullati dalle capriole delle onde
    i marinai tendono le gomene,
    i muscoli madidi di sudore,
    rimembrando lidi senza nome, gente senza volto.
    È la nave dei desideri
    fioriti come l'amore
    e poi smorzatisi in un battito d'ali
    prima del meriggio della vita
    nel verdetto freddo come uno schiaffo di neve
    figlio d'un eterno peregrinare.
    Il tepore del focolare
    è un lenzuolo stinto nella memoria
    come il profumo di pane appena sfornato,
    l'odore dell'erba dei campi,
    il sapore dei lamponi e delle more,
    gli acuti gialli dei canarini,
    il caldo abbraccio del letto.
    Avanzano lettere affrancate con filigrane straniere,
    lettere senza sigilli testimoni del tempo smarrito
    inseguendo false chimere
    nel lago dorato dei ricordi
    di mille labbra da baciare:
    gettarle via perché diventino presto cenere
    nel fuoco ardente?
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      Scritta da: Marco Galvagni

      Cicatrici d'amore

      In punta di piedi m'appari in un sogno
      avvolta in un vestito di seta fine
      risvegliando una ghirlanda di ricordi,
      cicatrici d'amore d'una primavera profumata
      in cui, tra le lenzuola, reggevo la tua mano
      ultimo appiglio del mondo
      e d'afose notti di mezz'estate
      in cui le orme dei nostri passi sulla battigia
      lasciavano una scia di libertà.
      Poi ti rivedo sparire nella nebbia di novembre,
      una densa coltre di panna sui nostri pensieri,
      timbrandomi il lasciapassare della solitudine.
      Fiorisce luce, ed è come se il cuore tremasse
      al suono acuto dell'antica sveglia.
      Aperte le persiane fatiscenti,
      scendo in un dedalo di vie
      lastricate di memoria
      del tempo dell'amore perduto.
      Ora sei la pietra spezzata, l'albero senza radici
      e faccio naufragio nel mare della nostalgia
      con una caravella di ricordi
      tra l'indifferenza dei passanti
      tale al passero che tenta il volo
      ma cade senza destare stupore.
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        Scritta da: Marco Galvagni

        Il silenzio acuto del mattino

        Ho annodato
        a ciottoli levigati
        il fluire dei miei ricordi.
        Forse era l'aurora cremisi
        che si specchiava nei solchi
        delle rare onde,
        forse la magia
        del silenzio acuto del mattino.
        Forse la quiete infinita
        ed il confluire d'umane speranze
        tipici d'ogni alba
        in qualunque angolo del mondo.
        Forse un po' di tutto ciò
        mischiato all'amore per la vita:
        e noi in simbiotica armonia
        su questi greti ci trovavamo,
        padre,
        ed era l'elogio dolce
        delle nostre illusioni,
        la genesi
        delle nostre buone intenzioni.
        Era la folgorante attesa
        d'un alito di luce
        a farci muovere,
        padre,
        laddove ormai sono avanzate
        poche manciate di rena
        e l'acqua ha reso canute
        persino le amiche conchiglie.
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          Scritta da: Marco Galvagni

          L'arcobaleno

          Annego nell'inchiostro
          la seta che avvolge
          il mio sonno
          tra voli notturni
          di pipistrelli e schiamazzi
          mattutini delle lavandaie.
          In un'aria di vetro
          cerco di dirigere
          il traffico delle mie passioni
          e, lasciandomi lambire
          dalla brezza amica,
          mi riposo all'ombra
          della grande quercia
          ascoltando canzoni di ieri.
          Il tempo, intanto, immemore
          delle mie sofferenze,
          ambisce solo a spargere
          la mia cenere dolce
          nell'armonia dello spazio remoto
          dove le stelle
          per noi son morte
          e non c'è un arcobaleno
          che, dopo le vicende della vita,
          si stagli nel cielo turchino e muti
          la nostra essenza
          dall'ombra alla luce.
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