Scritta da: Violina Sirola
in Poesie (Filastrocche)
La beffa per ovviare al danno
Era così intenso il verde
prato, da non stingere al sole.
Vi abitava Pecora Nera, dai bianchi
suoi vicini l'erba non c'era.
Viro-silente, capo branco
bianco, in una notte di luna piena
tenne consiglio rapido e astuto:
"i nostri figli ormai sono stremati
cadono i denti ruminando a vuoto.
L'erba ci fugge, noi la raggiungiamo".
Una nuvola, densa
di sospiri, coprì la bianca
luna; fu buio pesto nel sordo
ruminare.
Stava Martino in mezzo al prato
verde, sognava una dolce
agnellina. Viro-silente, rapido
all'istante, prese la preda e
corse dai compagni
saziati, a sbafo, con l'erba del vicino.
"Amici miei, dobbiamo
ringraziare il nostro
Dio. Offriamo in sacrificio
questo agnello".
Così Martino, dal nero
mantello, bruciò senza pietà
nella fornace; il fumo della legna
ancora verde, intriso dell'odore
di bruciato, salì nel cielo e si dispose attorno
la faccia tonda della luna piena.
Pecora Nera, quando fu mattino,
si accorse che non c'era il suo
Martino. La rabbia in corpo, colore
della pelle, decise di recarsi dai vicini.
Viro-silente non era ancora sazio
brucava l'erba in sogno; fu interrotto
da un belato, straziante e senza fine. Pensò
alla beffa, per ovviare al danno
prese dal gregge, suo, un agnellino
gli tinse col tizzone il bianco vello
"Vedi quel cactus - disse il gran
montone - unica pianta nell'arida
valle, ha protetto dai lupi
il tuo Martino".
Una nuvola, gravida
d'inganno, uno scroscio di pioggia
aprì all'istante, lavando il nero
fumo al vello bianco.
Viro-silente non perse l'occasione
mise il timbro solenne e
sentenziò: "Miracolo!
Per trovarlo al buio della notte
occorreva fosse bianco
il tuo Martino".
Da quel giorno, Pecora nera
non mangiò che "fogli"
lo spazio verde fu arso dal sole.
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