Poesie preferite da Nello Maruca

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Scritta da: Bepi Zuccollo
Pubblicata prima del 01/06/2004

Tota pulchra

Allor che il giorno muore,
nel lindo casolare,
la Madre del Signore
ha smesso di filare.

E, posta giù la rocca,
parla col divin Figlio
che lieto si balocca
con petali di giglio.

“Or dimmi, figlio mio,
Gesù, che tutto sai,
tra l’opere di Dio
quale più bella è mai?

La rosa del giardino,
la perla in fondo al mare?
O gli occhi d’ un bambino
o un cuore che sa amare?

O forse qualche stella
che Dio si tien  lassù?…*
“L’opra di Dio più bella,
o Mamma mia, sei Tu”.
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    Scritta da: Nello Maruca

    Clxxx

    Se di tremore tutto quanto movo
    veloce subentra palpitio in core
    e fronte è bagna di freddo sudore
    e grande fobia in alma mi ritrovo.

    Ancor più forte gran bruciore provo
    che serpeggiando avvolge dentro e fore
    mentre le tempie scoppian di dolore,
    gambe e ginocchia, pure, a stento movo.

    Tutto quanto lo corpo ora è fremente
    che d'improvviso vien febbricitante
    tanto che vista perdo e conoscenza.

    Nessun conforto vien dalle prestanze
    di mani di delicate movenze
    che oprano a ridarmi persa coscienza.
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      Scritta da: Nello Maruca

      CLXXVII

      In cima a piccolo promontorio
      a lato Piombino, là dove l'Isola
      del ferro par tocchi con mano sola,
      imponente s'erge di bianco avorio

      torre magnifica opera scultorio
      cui arte somiglia Donatello scuola
      e di uomo che vita solo arte immola
      spicca, cui maestosità in circondario

      e nemmanco per miglia nessun altro
      perequa palazzo cui suo biancore
      di brillanza magnifica spessore.

      Piuttosto, che tacer celera* cuore;
      come, altrimenti, potrebbe, peraltro
      se appresso sto a dolce, desiato amore?
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        Scritta da: Nello Maruca

        La chiesetta

        Se prima c'era solo una Madonna *
        Uno stipo, un messale e un altare,
        una finestra a mò di campanile
        senza né scala, senza né colonna
        or t'assicuro, Letterato altero **
        molte di cose ha la chiesa, invero.

        Da Eccellenza, il Vescovo in persona
        Fu consacrata il dì otto dicembre
        e affidata al popolo votato
        Rappresentato dall'uomo fidato
        Che sono certo, per innato istinto
        Non abbandona caso, pria ch'estinto.

        Indi gli spettri Catroppa e Pantano
        Dalla chiesetta, ormai, restan lontano
        Che il loco sacrato è ai cristiani
        e nei dintorni mai più saran villani.
        Né il demone potrà fare più presa
        Giacché il devoto con Gesù ha intesa.

        Presto il suono s'udrà della campana
        Che dal colle eco farà al monte e al piano.
        Presto saranno i fari illuminati
        Cosi come volevi Tu e gl'antenati.
        Ancora il vento grida e si lamenta
        Ma in Chiesa troneggia la sua Santa
        Che benedice noi, ogni momento
        e i caduti del Sacro Monumento.
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          Scritta da: Nello Maruca

          Redentore

          Fredda era la notte ed innevata
          e la Pia Donna di bontà infinita
          di stanchezza e doglianza già stremata
          Al Redentore del mondo dava vita.
          Bussò Giuseppe a tutti i casolari
          Onde dare a Maria caldo giaciglio
          ma tutti gli occupanti furo avari
          Disdicendo Chi portava Divin Figlio.
          Aveva posto solo in una stalla,
          per letto il fieno d'una mangiatoia,
          al respiro del bue e l'asinella
          tenea Maria della maternità la gioia.
          Lui di tutto il creato possidente
          luogo migliore per nascere non ebbe,
          per l'ingordigia dell'umana gente
          nacque in miseria ed in miseria crebbe.
          Quel sembiante Umano, ch'era Divino,
          da Castissima Donna concepito
          al Dio Grande e Beato era l'affine
          ma da bieca umanità non fu capito.
          A Betlemme di Giudea resta la Grotta
          Che il Vagito Divino prima intese;
          luogo diviene di retta condotta
          cui grazia rende il cristiano e rese.
          Regnava, allora, nella Giudea Erode,
          uomo protervo, essere triviale
          d'ognuno paventava tranello e frode,
          poiché l'istinto suo era carnale.
          Seppe, dai Magi, di Gesù la nascita
          che di Giudea predicavano Re,
          decretò, quindi, togliere la vita
          agl'innocenti sotto gli anni tre.

          Al Puro putativo Padre Giuseppe
          un Angelo veloce venne in sogno:
          corri in Egitto, non badare a steppe
          ch'Erode al Piccoletto porta sdegno.
          Dell'Angelo a Maria dato l'avviso
          lasciavano quel luogo benedetto,
          in braccio Gesù dal casto bel sorriso
          in cerca d'altro tetto e d'altro letto.
          Quando l'Onnipotente al sonno eterno
          gli occhi chiudeva al bruto re regnante
          fu la Divina Famiglia di ritorno
          alle mura paterne, alla sua gente.
          A Nazareth di Galilea con i parenti
          rimaneva Gesù fino ai trent'anni,
          per essere battezzato tra le genti
          incontravasi al Giordano con Giovanni.
          Sconfiggeva Satana tra i monti;
          poscia, in testa a moltitudine gaudente
          cominciava gl'insegnamenti itineranti.
          Or visitando questa or quella gente.
          Seguito da Gerusalemme e da Giudea
          sanava storpi, ciechi ed ammalati;
          da riva al mar di Cafarnao in Galilea
          tutti erano accolti, toccati, graziati.
          Dai guarimenti dati al Suo passaggio
          la Siria tutta n'ebbe conoscenza;
          Ovunque dava del Padre il buon messaggio
          mostrando la grandezza e la Sua scienza.

          Moltiplicava i pesci e pure
          il pane, le acque quietava, comandava
          i venti, ai tormentati dava le Sue cure,
          sui mari e sopra i laghi camminava.
          Nemici farisei, scribi e sinedrio
          da Giuda, Suo discepolo, tradito
          ebbe Pilato giudice avversario
          capo di crudel popolo inferocito.
          Al posto di Barabba condannato
          fu crocefisso in mezzo due ladroni;
          Spirò, il cielo fu squarciato, fu boato,
          tremò la terra, tremaro i sommi troni.
          L'esanime Divin Corpo torturato,
          avvolto nel lenzuolo di bianco lino
          al suolo della tomba fu adagiato
          d'uomo devoto, avverso di Caino.
          Restava il Corpo esanime tre giorni,
          indi in cielo accanto al Padreterno,
          in terra, poscia, dai lochi Sempiterni
          a recare agli Apostoli governo.
          l'incredulo dei dodici Tommaso
          le dita nelle piaghe mettere volle,
          restò, ciò fatto, sgomento ma persuaso,
          cadde in ginocchio nelle carni imbelle.
          Ai Discepoli, Gesù, lascia la pace
          indi s'invola al Divin Palagio
          e, dal cospetto di Dio, dall'amor verace,
          guida gli Apostoli al Divin Messaggio.
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            Scritta da: Nello Maruca

            Il cipresso

            E fu Giuseppe per quarant'anni ed oltre
            a far'inchini e salutar dappresso
            finché trovossi un dì su stessa coltre *
            accanto colui che prima era cipresso.
            Parve, indi, con stupore immenso
            d'avere inchino da sì alto fusto;
            anchilosato fu, disse: Che penso?
            No! Cervello mio: Sei vecchio e guasto.

            E chiusi gli occhi, ch'era stanco assai,
            la destra penzoloni giù dal letto
            s'assopì pian pianino pensando ai guai
            ed alla vision ch'oggi fu oggetto.
            Così restossi: Tempo quanto nol seppe
            ma parvegli poi da tocco essere scosso
            mentre affettuosamente: Che fai o Peppe?
            Sentì stanco quel dire, quanto commosso.

            Per i suoi vitrei, da peso oppressi occhi
            forza non ebbe di guardar chi fosse,
            chi a voce lo chiamava e piccoli tocchi
            e debolmente pensava chi esser potesse.
            Fu il dì di poi, a mattino andato
            che disteso a letto a lui di presso
            scorge vetust'uomo, volto emaciato
            che credere stenta ch'esser sia lo stesso

            che per tant'anni ebbe ad inchinarsi.
            Quello lo guarda e stancamente dice:
            Ho, qui, nel petto di dolor dei morsi,
            stanco mi sento e d'essere infelice.
            Io non pensavo mai, Vossignoria,
            un giorno di trovarmi accanto a Voi,
            quest'oggi il cuore mio è in allegria
            ch'ha la fortuna d'essere con Voi.

            Prim'io voglianza avevo di morire
            che sempre fui più stanco e tribolato
            sper'ora, invece, manco di guarire
            ch'accanto Vossignoria sono appagato.
            Certo! Tu allato sempre sei vissuto
            e ancorché steso resti consolato.
            Non me, però, da nobil stirpe nato
            sempre diverso fui, e non reietto.

            Vossignoria restate tale e quale
            con l'arroganza nelle vostre vene
            ma l'altezzosità più a nulla vale
            perché acuisce solo le vostre pene.
            Da parte mia vi dico: Io vi perdono
            e mi prosterno a voi per quella gioia
            che il cuore mio ha ricevuto in dono
            d'avere accanto a sé vossignoria.
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              Scritta da: Nello Maruca

              Ricordi

              Rosa il tuo nome e rosa eri di viso
              Ricordo, Mamma, il tuo bel sorriso;
              ricordo quell'incedere tuo lesto,
              ricordo radunati i capei a cesto.

              Ricordo gli occhi tuoi castano scuro,
              ricordo del tuo amore sempre puro;
              ricordo il tuo bel mento ovaleggiante
              su quel bel viso splendido, raggiante

              Ricordo, Mamma, quando al casolare,
              raccolti accanto al grande focolare
              raccontavi per noi fatti e romanze
              di principi e duchesse in grandi stanze.

              Principato, ducato e marchesato
              Quante fiabe per noi hai tu inventato!
              Altro dare di più non si poteva:
              in miseria di guerra si viveva.

              Ricordo i tempi degl'oscuramenti,
              i razzi a notte fonda rilucenti,
              ricordo le nottate fredde, io ignudo,
              quando il Tuo corpo a me facea da scudo

              per quei rumori forti ed assordanti
              di velivoli in cielo roteanti.
              Di gran paura si stringeva il core
              ma Tu coprivi tutto col tuo amore.
              .
              Allo scoppio di bombe a noi vicino
              stringevi a Te più forte il corpicino;
              lo facevi così, con tant'ardore,
              che risentirlo lo vorrei a quest'ore.

              E, mi ricordo, Mamma, le speranze
              che in quelle tristi, brutte circostanze
              trasmettevi nel debol cuoricino
              Dell'arrivo di Papà così vicino.

              Lo facevi con sì tanta fermezza
              che dissolvevi in me forte l'ebbrezza
              nella certezza di veder domani
              il Suo bel volto e le Sue grandi mani.

              Or più non sei, dolce mia Mamma
              cara, di Te solo ricordi in alma
              serbo, ricordi che mi servono a pensare,
              ricordi che mi portano a sperare.
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                Scritta da: Nello Maruca

                Il destino

                O che sorriso sia oppure lagna
                L'ineluttabile destino t'accompagna
                Così come legge Suprema ha stabilito
                Finché il corso di vita sarà finito.

                Deciso è sin dall'attimo vitale
                Quale d'ognuno sarà il percorso reale;
                potere sovrumano l'ha stabilito
                e mutamento non si avrà all'infinito.

                Per quanto ci si maceri e dimeni
                Nulla si cambia l'oggi né il domani;
                nessuno mutarne mai potrà il corso
                ch'ogn'essere conficcato l'ha nel dorso-
                Così ha deciso il Re, per suo volere,
                Colui che tiene in mano ogni potere.
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Rimpianto

                  Perché non torni mamma a far la mamma?
                  Perché non riedi a noi addolorati
                  E ai piccoletti far la ninna nanna?
                  Perché rest i lontana dai tuoi amati?

                  Da quando ti partisti, o dolce mamma,
                  Il focolare in casa è sempre spento.
                  Nessuno attizza più la rossa fiamma
                  Dacché verificato è il triste evento.

                  Quando ronzavi in casa era un incanto;
                  nessuno gioca ora né suona e ride
                  e gli occhi son velati e sempre in pianto;
                  cotanta tristezza mai alcuno vide.

                  Vengo là dove giaci, pel saluto,
                  E più triste ritorno all'abituro
                  Perché al mio saluto il tuo è muto.
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                    Scritta da: Nello Maruca

                    Invito

                    Io intuisco, amore, quant'è doglioso
                    l'affetto aver perduto dei più cari,
                    quant'attristato s'è il cuor voglioso
                    per quegl'amori fattisi assai rari.

                    L'animo nobile tuo avea creduto
                    ch'avrebbe sempre avuti e mai perduto.
                    L'illusione è grande, assai penosa
                    e accresce lo pensare chi in ciel riposa.

                    Colei che vesti d'Angelo ha indossato
                    stretta tienti la mano in ogni ora.
                    Guarda, ti dice: Il capo com'è ornato
                    dei più bei fiori e come giglio odora.

                    Di me non t'attristare: Sono beata,
                    vivo il riposo eterno: Dissetata;
                    Un posto accanto a me t'ho riservato
                    di luce luminosa tutt'ornato.

                    Intanto resta lì, tra le tue perle
                    alfin che la tua luce ancor le lustri,
                    in ansia più di tanto non tenerle,
                    a chi t'ha tolto affetto amor dimostra.

                    Angoscia tanta e tanta n'hai provata;
                    ascolta ora me, la tua adorata:
                    Resta distesa ognor ch'io son felice,
                    tale sarò ancora se tu stai in pace.
                    Composta sabato 30 novembre 2002
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