Latte in polvere e caffè
Io al bar andavo solo di domenica, neanche tutte le settimane, e ci stavo pochissimo. Per arrivare a sedermi al tavolino e bere un caffè, dovevo incastrare una serie di cose, lavare e vestire Raffaele prima del solito, strapparlo alla sua routine quotidiana, mettergli fretta e innervosirlo. Assieme a mio marito, cercavo di fare tutto in velocità: vestirmi, truccarmi, infilare il bambino in macchina e armeggiare con quel dannato seggiolino. Arrivavamo sempre trafelati, sudati anche a Gennaio e ci sedevamo già stanchi. Nemmeno a quel punto però riuscivamo a rilassarci. Il piccolo toccava tutto, lanciava a terra le cose, saltellava tra un cliente e l'altro. Facevamo i turni, prima Gianni beveva il caffè quasi strozzandosi e dopo io ingurgitavo il cornetto con due soli morsi. Di certo non ci godevamo il relax tipico di chi si accomoda per essere servito e riverito, di certo non potevamo chiacchierare come un tempo, di certo non provavamo la sensazione di noia e pigrizia domenicale di quando eravamo soltanto una coppia... Eppure mi manca. Sono passate due sole settimane e già rimpiango la corsa, il rossetto messo in macchina mentre il bambino strillava, le discussioni per chi tra di noi avrebbe dovuto fare questo o quello, il pasto consumato con distrazione, inconsapevoli del valore della quotidianità. Rimpiango il gesto inconsapevole di appoggiare le mani sul tavolino senza ansia, la possibilità di raccattare dal pavimento tutto quello che lanciava la piccola peste senza il terrore di un contagio. Rimpiango la normalità e mi domando quali mutazioni subirà, quale sarà domani il suo significato per noi. Poi guardo la mia famiglia e ne sono certa: torneremo a brindare con latte in polvere e caffè.
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