Un pianto incompreso
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Avevo forse quattro anni, so che ero scricciolo, mi ero rannicchiata tra il divanetto che c'era in cucina e la cesta con la legna, necessaria per alimentare la stufa che riscaldava le due stanze in cui si viveva e sulla quale mamma cucinava. Davanti una sedia a proteggermi e il tavolo: ero piccola sì, perché se alzavo gli occhi vedevo il sotto di questo e ho ancora negli occhi il colore smaltato verde pallido di entrambi. Mi sentivo in una botte di ferro, nascosta al mondo intero e protetta. Poi quel pianto forte, che mi faceva singhiozzare e mi scuoteva togliendomi il fiato. La mamma che cercava di farmi uscire dal mio rifugio e io che la guardavo senza fare nulla per smettere di piangere e rifugiarmi tra le sue braccia. La vedevo arrabbiarsi e la sentivo chiamare mio papà, perché non rispondevo alla sua supplica di smetterla non avendo un perché per quello stato di disperazione. Papà arriva e sento le lamentele di lei:
-tua figlia è capricciosa, non è normale ad avere una reazione così, avrà dei problemi di nervi, dobbiamo farla vedere da un dottore!
Papà mi guardava sconsolato, i suoi occhi azzurri nei miei, uguali nel colore, ma ... [segue »]
Composto venerdì 22 maggio 2020
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