Franco, Epifanio e il cane randagio
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...suoi compagni di scuola; appresa la triste notizia e resosi conto del valore dell'amicizia, nonché del grande male che aveva causato a Franco, corse subito a casa dello stesso, dove trovò la madre mesta seduta accanto al figlio e, visto il bambino dormiente, molto malato, disteso nel suo letto, a mani giunte con singhiozzi e pianto, rivolgendosi al cielo pregò, pregò così: "Io non so preghiere, perché mai nessuno me ne insegnò; io sono un ragazzo cresciuto qua e là. I miei genitori sono sempre in guerra con tutti ed anche tra di loro. Io non ho colpa di sì gran misfatto. Or ti prego Dio, perché tu mi perdoni e faccia che Franco viva ed io possa morir per lui". Poi, accanto a Franco così gli disse: "Mi pento di ciò che ho fatto ed amico io ti sono. Sarò come quel cane, io ti aiuterò". Quelle parole scossero il bambino malato, che sentì e tese la debole mano ad Epifanio, a cui con voce fioca così rispose: "Hai ucciso il mio vecchio cane, ma nello stesso tempo è morto con esso anche il suo assassino. Epifanio, amico mio, oggi tu sei rinato; non disperarti, il sacrificio del cane ti ha redento. Adesso io so che vivrò e, come il mio povero cane, tu mi resterai nel cuore, perché anche tu ora sei figlio del Signore".
Così i due fanciulli si abbracciarono e l'amicizia li legò per sempre.
Composto martedì 22 dicembre 1970
dal libro "Accenti d'amore e di sdegno" di Gino Ragusa Di Romano
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