A primavera un uccello in gabbia sa bene che c'è qualcosa a cui potrebbe servire, sente benissimo che ci sarebbe qualcosa da fare, ma non ci può far nulla, e cos'è questo? Non si ricorda bene, ha idee vaghe e dice: "Gli altri fanno i loro nidi e portano fuori i loro piccoli e li cibano" e poi sbatte il suo capino contro le grate della gabbia. Ma la gabbia resiste e l'uccello impazzisce dal dolore. "Guarda che fannullone", dice un altro uccello che passa lì davanti, "quello è un tipo che vive di rendita". Eppure il prigioniero continua a campare, non muore, fuori non appare nulla di quel che ha dentro, è in buona salute, e di tanto in tanto è allegro sotto i raggi del sole. Ma poi viene il tempo degli amori. Ondate di depressione. "Ma ha poi proprio tutto quel di cui ha bisogno?" dicono i bambini che si prendono cura di lui e della sua gabbietta. E lui sta appollaiato con lo sguardo proteso verso il cielo, dove sta minacciando un temporale, e dentro di sé sente ribellione per la sua sorte. "Me ne sto in gabbia, me ne sto in gabbia, e non mi manca niente, imbecilli! Ho tutto ciò di cui ho bisogno! Ma per piacere, libertà, lasciatemi essere un uccello come gli altri!". Così, talvolta, un uomo che non fa nulla assomiglia a un uccello che non fa nulla.
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